Bella barca quella varata il 22 maggio 1910. Il cantiere di Oneglia, che l’ha costruita, gode di ottima fama e, ora, a vederla in acqua, con le sue linee pulite e slanciate si ha la certezza che darà parecchie soddisfazioni. Il brigantino-goletta è stato costruito in legno di quercia e pino della migliore qualità. È una nave costruita da maestri d’ascia esperti e la sua struttura la rende idonea ad affrontare le tempeste del Mediterraneo, che sanno essere devastanti per il naviglio leggero, e le traversate oceaniche che mettono a dura prova la resistenza agli sforzi di alberi, vele e sartiame. Un brigantino-goletta è un veliero a due alberi e dotato di bompresso. L’albero di trinchetto monta vele quadre mentre l’albero maestro, dotato di boma, vele auriche. Dei 24 carati, 16 sono di Alessandro Sigona, Nostromo, e i restanti 8 del Padrone Marittimo Carmelo Denaro. Il nome è deciso dal proprietario del maggior numero di carati che, in ricordo del padre defunto, anch’egli marinaio, lo chiamerà “Francesco Padre”. Proprietà pozzallese, equipaggio pozzallese. Al comando Carmelo Denaro, nostromo Alessandro Sigona, marinai Vincenzo Sigona, figlio di Alessandro, Vincenzo Lauretta, Carmelo Colombo e Francesco Trama.
Il 23 gennaio 1931 il Francesco Padre era diretto ad Oneglia quando per l’improvviso peggioramento delle condizioni del mare, il comandante d’accordo con il nostromo, decise di dirottare sul porto di Livorno per trovarvi riparo. Finora il Francesco Padre aveva navigato di gran lasco con un vento sostenuto al giardinetto di sinistra. Sfruttando appieno la superficie velica delle vele sul trinchetto, la nave viaggiava alla velocità di quasi sette nodi. C’era un mare formato da ovest che faceva rollare un po’ ma si navigava tranquilli. Alle 14 il vento cominciò a ruotare fino a NO e il mare si era parecchio ingrossato. Il barometro, in caduta libera, non lasciava presagire niente di buono. Carmelo Denaro si consulta con Alessandro Sigona e decidono di ridurre la velatura. Alessandro Sigona ordina ai marinai di ammainare trinchetto, parrocchetto fisso e volante, velaccino e contro velaccino lasciando lo strallo di mezzana e la randa. Terminata questa operazione, i quattro marinai si spostano a prua per armare trinchettina, fiocco e controfiocco. Carmelo Denaro, dal cassero, seguiva le manovre e scrutava il mare cercando di intuire l’evoluzione del tempo. Livorno non era lontana e alle 15 un marinaio nota delle increspature a circa due miglia a NE. Sono le secche della Meloria. Un tratto di mare infido ma, in questo caso, utile perché essendo poste proprio fuori il porto di Livorno quietavano un po’ il mare che, ora, tendeva a investire la nave al mascone di sinistra. La nave beccheggiava un po’ ed il rollio era parecchio aumentato. Quanto era in coperta fu rizzato meglio per impedire possibili danni. Alessandro Sigona si trovava sul lato di sinistra intento a seguire la operazioni di rizzaggio e di manovra delle vele. Ordina di ammainare tutte le vele al bompresso lasciando solo la trinchettina per diminuire il beccheggio e, quindi, di ammainare la randa. Si sposta a poppa per seguire meglio la manovra quando, per la perdita di portanza della vela, il picco della randa, a causa di una forte e improvvisa rollata, si spostò a sinistra facendo cadere in mare il nostromo. I marinai in coperta, al grido di uomo a mare, cominciarono a lanciare salvagenti ed ogni cosa che galleggiava sul lato di caduta del nostromo che a causa dei marosi fu quasi subito perso di vista. Non era possibile mettere in mare la lancia per il mare grosso senza rischiare di perderla e Carmelo Denaro ordinò al timoniere di mettere la nave all’orza per rallentare la corsa. Ad un marinaio fu ordinato di andare in testa all’albero per cercare di avvistare il nostromo mentre il figlio, Vincenzo, disperato, in coperta, piangeva per la perdita del padre che considerava certa. La vedetta non riusciva a vedere nulla e dopo dieci minuti gli fu ordinato di scendere mentre il Francesco Padre invertiva la rotta seguendo la scia di galleggianti che aveva disseminato in mare. Circa mezz’ora per completare la manovra e tornare nel punto in cui il nostromo era caduto in mare. Di lui nessuna traccia. Le onde, la schiuma, l’abbigliamento pesante e l’acqua fredda l’avevano sopraffatto. Proseguirono ancora le ricerche. Un uomo sul trinchetto e uno sul maestro ma la visibilità ridotta per i marosi rotti dal vento e dalla pioggia che, intanto, cominciava a cadere non permisero nessun avvistamento. Si continuò a cercare fino al tramonto. Il tempo peggiorava ancora. Non era possibile proseguire le ricerche senza mettere in pericolo la nave ed il suo equipaggio e il buio non permetteva di vedere oltre il parapetto della nave. A malincuore si fece rotta sul porto di Livorno. Alle 17 del giorno dopo il Francesco Padre ormeggiò a Livorno.
Carmelo Denaro aveva perso un amico e un socio.
Vincenzo Sigona aveva perso il padre e i restanti uomini dell’equipaggio avevano perso un collega, un marinaio che tanto aveva contribuito alla loro formazione.
©Antonio Monaca
(Foto tratta dalla rete)
Bella storia!