Questa storia inizia il 29 ottobre 1328 in un paese lontano 8.000 Km da Pozzallo quando nemmeno il Conte Cabrera era nato. Quel giorno, in una povera famiglia di contadini cinesi, nasce Zhu Yuanzhang. La provincia dello Anhui settentrionale è una delle più povere province della Cina dell’Est, frequentemente sconvolta da carestie, aggravate dalle pretese economiche della dinastia Yuan di origine mongola. Nel 1344 alla carestia si aggiunse una invasione di cavallette che distrusse quel poco che restava del misero raccolto e poco dopo, per le scarse condizioni igieniche, una epidemia di peste falcidiò gli abitanti del villaggio compresi i genitori dell’adolescente Zhu Yuanzhang. Rimasto solo, il ragazzo vestì l’abito buddista e diventò un monaco itinerante. La sua vita religiosa ebbe, però, breve durata. Nel 1352 entrò a far parte di un gruppo di rivoluzionari chiamati “Turbanti Rossi” mostrando di essere un abile stratega nell’organizzare rivolte contro gli Yuan e le sue capacità vennero messe a frutto per conquistare le città di Nanjing, Nanchino e, successivamente, Pechino. Grazie a questi risultati riesce a farsi proclamare imperatore e scaccia gli Yuan in Mongolia dando inizio alla prestigiosa dinastia Ming. Chiamò il suo regno Hongwu che significa “Grandezza Militare”. Dalla miseria, Zhu Yuanzhang, chiamato ora Hongwu, è passato a capeggiare un impero in forte crescita economica e militare. Dimostra di essere un abile diplomatico, un abile economista, un abile mercante. Il popolo cinese, uscito da decenni di sottomissione ai mongoli, è dalla sua parte. Fa di Nanchino la sua capitale, si sposa e ha due figli, Zhu Biao nominato suo successore e il fratello minore Zhu Di. Nel 1392 Zhu Biao morì e Hongwu dovette nominare un nuovo successore ma non scelse il figlio minore, Zhu Di, secondo in linea dinastica, ma il nipote, figlio di Zhu Biao, Zhu Yunwen.
È il 1398, Hongwu muore e il nipote prende il suo posto con il nome di Jianwen. È il secondo imperatore della dinastia Ming. Jianwen, mentre era ancora in vita il nonno, sfruttando la sua posizione, aveva iniziato a limitare i poteri dei nobili che non vedevano di buon occhio la sua candidatura al trono e una volta assunti i pieni poteri continuò in questa sua azione con maggiore decisione anche nei confronti dello zio, Zhu Di, che, ovviamente, si sentiva usurpato del suo diritto ad essere l’erede al trono. Nonostante questi sentimenti, però, Zhu Di, cercava di essere un fedele suddito del nipote il quale, temendo un tentativo di ribellione, eliminò uno ad uno tutti i nobili che lo sostenevano e fece in modo che suoi fedeli generali controllassero il principato dello zio a Pechino. Un anno dopo, Zhu Di, rendendosi conto di essere nel mirino del nipote, in segreto, organizzò un esercito nella sua base di Pechino e nel 1402 lo attaccò conquistando la capitale, Nanchino. Dell’imperatore Jianwen non si seppe più nulla e il nuovo imperatore, che prese il nome di Yongle, ordinò che di lui fosse cancellata ogni traccia, perché se ne perdesse la memoria.
Yongle è ora il terzo imperatore della dinastia Ming, il più grande di tutti gli imperatori della sua e delle altre dinastie che seguiranno. Nei primi anni del suo regno, la paura di essere eliminato lo porta ad annientare violentemente ogni opposizione e quando si ritiene al sicuro, inizia una serie di riforme economiche che mirano ad accrescere il suo potere ma anche il benessere dei cinesi. Trasferì la capitale a Pechino e costruì la famosa Città Proibita che diventò il centro del potere politico, economico e militare dell’impero. Dalla Città Proibita si fece mediatore di pace fra le varie tribù cinesi, cercò di riportare il buddismo al centro della vita religiosa della Cina, e si fece pacificatore fra le principali religioni presenti nel paese favorendo in confucianesimo al quale si era avvicinato. Avviò importanti attività di bonifica, di costruzione di infrastrutture e di ristrutturazione di infrastrutture preesistenti come il Grande Canale della Cina che, grazie a una serie di canali artificiali, metteva in comunicazione le principali vie d’acqua interne del paese arrivando fino a Shanghai in modo da garantire il rifornimento di materie prime della capitale. Proprio l’importanza e l’attenzione che diede allo sviluppo infrastrutturale ed al potenziamento delle attività mercantili fece di Tianjin, città vicina a Pechino, che si affaccia sul Mare di Bohai, uno dei porti più importanti della Cina. Posta sulla riva del fiume Hai He permette, ancora oggi, un agevole collegamento fluviale con Pechino e, grazie al Gran Canale, con tutto il paese. È proprio attorno allo sviluppo della città di Tianjin che ruota gran parte della storia della Cina e, in piccola parte, porta Pozzallo a farne parte.
È innegabile che l’ambizione di Yongle portò grandi benefici alla Cina ed è anche evidente che lo sviluppo commerciale cinese attirò le attenzioni dei paesi europei. L’immenso paese asiatico era visto da molti paesi occidentali, l’Inghilterra in particolare, come un grande mercato da “depredare” così come era stato fatto in tutto il mondo conosciuto con una politica coloniale aggressiva. Attraverso la via della seta, la Cina esportava mercanzie nei paesi europei ma importava poco grazie alla sua indipendenza economica ed alle sue grandi risorse di materie prime. Fu, in particolare, la famosa Compagnia delle Indie inglese che mise gli occhi, per metterci anche le mani, sulla Cina. La Compagnia, protetta dalla corona, aveva fatto le sue fortune con il trasporto del tè e delle spezie dall’India ma ben presto, i suoi potenti soci, pensarono bene di diversificare i loro commerci. L’Inghilterra era riuscita a strappare il Bengala ai francesi nel 1757 e proprio nel Bengala la Compagnia aveva iniziato, su larga scala, la produzione di oppio. Gli inglesi erano riusciti a produrre papavero da oppio di qualità superiore a quello finora in commercio e, di conseguenza, ne approfittarono per aumentarne il prezzo. L’oppio era già abbondantemente conosciuto per la dipendenza che generava nei suoi utilizzatori ma la Compagnia delle Indie, per l’elevato ritorno economico, non si fece scrupolo di riversarne enormi quantità in Europa. Non era sufficiente, però.
Ricerca sfrenata di ricchezza che permette di ottenere potere per avere ancora più soldi. Un circolo vizioso difficile da spezzare e chi entra in questo percorso è disposto a qualunque tipo di compromesso pur di raggiungere i suoi obiettivi. La Cina entra nel mirino della Compagnia. È un paese enorme e riempirlo di droga garantirà enormi guadagni. Non solo. Un paese “dipendente” dalla droga diventerà presto succube di chi gliela fornisce e avrà bisogno anche di altri prodotti. Si aprono, così, grandi prospettive di commercio in grado di far pendere la bilancia commerciale a favore dei paesi occidentali. È per questo motivo che le attività della Compagnia erano “sponsorizzate” dalla corona inglese e dalla sua nobiltà. Differenze con i produttori di droga colombiani? Nessuna. Differenza con le organizzazioni mafiose che lucrano sul consumo di droga? Nessuna. L’obiettivo è lo stesso. Guadagnare un mucchio di soldi rendendo qualcuno schiavo degli stupefacenti.
Yongzheng, quarto imperatore della dinastia Qing, stanco dei problemi che la droga provocava nell’impero, vietò il commercio di oppio permettendone il solo uso a scopo terapeutico. Ovviamente gli inglesi ignorarono il divieto. Approfittando dell’elevato grado di corruzione dei funzionari cinesi di Canton, una grande quantità di droga riusciva ad entrare nel paese e veniva consumata dall’élite della società cinese. Il governo aveva concesso agli europei l’utilizzo del solo porto di Canton tentando di controllare meglio i traffici illeciti e per contenere la penetrazione diffusa degli europei nel paese, imponendo, inoltre, pesanti dazi sulle merci importate. A partire dal 1820, l’imperatore Daoguang, emanò una serie di decreti ancora più stringenti per tentare di argine quel fiume di droga che invadeva il paese, suscitando le ire dei potenti mercanti inglesi e del loro governo. Nonostante queste restrizioni, però, sfruttando anche la cupidigia dei doganieri cantonesi, grandi quantità di droga continuavano ad arrivare fino a Pechino attraverso il fiume Azzurro e la rete di canali navigabili costruiti e riorganizzati nel corso dei secoli. È il 1839 quando l’imperatore Daoguang, resosi conto delle sacche di corruzione dei suoi funzionari, inviò a Canton un commissario imperiale con pieni poteri. Il mandarino Lin Zexu distrusse un’enorme quantità di droga stoccata nei magazzini portuali e a nome dell’imperatore, inviò un messaggio alla regina Vittoria chiedendo la cessazione immediata dei traffici per le gravi conseguenze prodotte dal consumo sfrenato di oppio. La corona inglese ignorò la missiva.
Lin Zexu propose di rifondere i mercanti scambiando il valore dell’oppio distrutto con un equivalente valore di tè ma gli inglesi rifiutarono. La Compagnia non poteva accettare perché lo scambio avrebbe automaticamente comportato il riconoscimento delle leggi di divieto del commercio della droga e il tè non garantiva gli stessi guadagni. La risposta cinese fu la confisca di tutti i magazzini di proprietà straniera e il blocco navale per impedire l’ingresso di altre navi con carichi di oppio. Il commissario per il commercio inglese si rivolse alla corona inglese chiedendo l’invio di forze militari per vedersi rimborsare i danni subiti e per continuare l’attività di smercio dell’oppio in spregio alle leggi cinesi.
Ecco create le premesse per quella che è conosciuta come la “prima guerra dell’oppio” alla quale ne seguì una seconda. Ovviamente la capacità militare cinese, soprattutto per una carenza qualitativa e quantitativa degli armamenti, non era paragonabile a quella inglese. I cinesi persero le due guerre e furono costretti a firmare trattati che non solo liberalizzavano, di fatto, i commerci stranieri in Cina, ma costituivano il presupposto per una politica coloniale. Gli inglesi si assicurano i monopoli dei porti di Canton e Shanghai e imposero la cessione di Hong Kong. Con i trattati di Tianjin e Pechino del 1858 e 1860 anche Stati Uniti e Francia ottennero esenzioni doganali, libera circolazione su tutta la rete fluviale cinese, libero commercio dell’oppio e il diritto ad insediare delegazioni diplomatiche a Pechino.
È proprio con la Convenzione di Pechino del 1860 che la Cina è costretta a concedere agli europei, ma anche alla Russia e al Giappone, l’utilizzo del porto di Tianjin. Se Hong Kong, Shanghai, Canton, Ningbo e altri porti minori erano i preferiti per i traffici dell’oppio e delle merci, il porto di Tianjin diventò il principale porto per le attività militari delle potenze europee. Per la sua vicinanza alla capitale cinese era perfetto per tenere sotto continua minaccia militare l’ormai debole governo imperiale. La città subisce l’influenza culturale europea. Le chiese cristiane approfittano della protezione militare per fare proselitismo anche perché i trattati di pace prevedevano libertà di azione ai missionari. Le chiese cristiane erano comunque animate da vero spirito missionario ricercando sempre il benessere del popolo cinese arrivando a scontrarsi, alcune volte, con i vari potentati economici che tendevano a reprimere violentemente ogni forma di legittima protesta. Ci furono ovviamente eccezioni che acuirono l’odio dei cinesi nei confronti di questa nuova religione. Alcuni vescovi cattolici e anglicani vivevano come i mandarini cinesi mentre la stragrande della popolazione viveva in una povertà indescrivibile.
È in questa situazione politico-economica che anche l’Italia pensa ad una sua possibile presenza in Cina ricavandosi una concessione così come le altre nazioni europee. Il 26 gennaio 1898, la Regia Nave Marco Polo, un ariete corazzato, è inviata in Cina allo scopo di rafforzare la nostra delegazione consolare. Il governo aveva spinto i principali gruppi industriali a valutare la possibilità di sviluppare interessi economici italiani nel paese asiatico. Non c’erano i presupposti per invadere militarmente territori cinesi ma di insediare attività economiche sì. Eppure, sia in Italia che in Cina, c’era chi premeva per una soluzione militare anche perché non si poteva restare fuori dai giochi di spartizione che le varie potenze europee avevano iniziato a spese dell’impero cinese. Il comandante del Marco Polo, Incoronato, venne incaricato di cercare lungo la costa una possibile area da chiedere in concessione al governo cinese che venne individuata nella Baia San Men nella Cina Centrale. La diplomazia italiana riuscì ad ottenere il sostegno inglese al rilascio della concessione ma alla fine per una serie di disguidi diplomatici i cinesi rifiutarono la concessione. Il fallimento ebbe conseguenze dirette nella politica estera italiana. Si provò a fare qualche altro tentativo ma la posizione cinese non cambiò assumendo, invece, un atteggiamento quasi ostile.
L’opposizione alle richieste italiane ed il risultato conseguito rese i cinesi coscienti della possibilità di opporsi all’invasione straniera e addirittura indusse parecchi a pensare che fosse possibile riprendere il possesso delle terre cedute dopo le due guerre dell’oppio. Esistevano da decenni società segrete che prendevano parte attiva o erano ispiratori delle varie rivolte che periodicamente agitavano l’ordine pubblico del paese. Cresceva anche l’odio nei confronti dei missionari e dei convertiti cinesi. Dall’unione di alcune di queste società segrete nacque una setta conosciuta con il nome di “Boxers”. Questa setta iniziò a diffondere notizie di presunte attività malefiche dei cristiani. Le carestie, le inondazioni e la siccità erano opera dei riti che i cristiani svolgevano nelle loro chiese e avvelenavano i pozzi di acqua potabile. Sarebbe bastato eliminarli per placare le divinità e non avere più carestie e inondazioni. Fra il 30 giugno e il primo luglio del 1900 furono uccisi 15 missionari e il fatto che arrivò la pioggia subito dopo sembrava dar ragione ai boxers. Il movimento ribelle avanzava come un’onda senza trovare ostacoli avendo al suo fianco le forze militari e di polizia cinesi con il tacito consenso del Celeste Impero. Il 31 dicembre 1899, i boxers assassinano un pastore anglicano, il Reverendo Sydney Brooks provocando una vibrante protesta del ministro inglese Sir Claude MacDonald che chiese al governo cinese di intervenire e di fermare le atrocità contro i cristiani di cui si aveva giornaliera notizia. Arriviamo al 20 maggio 1900. La capitale, Pechino, viene invasa da manifesti che annunciano lo sterminio di tutti gli stranieri a maggior ragione se cristiani. Il 27 maggio 1900 la linea ferroviaria da Baoding a Pechino venne distrutta così come avvenne per le stazioni che vengono incendiate. Le varie legazioni straniere ordinarono l’evacuazione di tutte le città dell’area facendoli convergere a Tianjin dove sarebbero stati protetti dalle truppe dei vari paesi che avevano nel paese le loro basi.
Venezia, 16 dicembre 1898. Regia Nave Elba. “Frangar non flectar” (Mi spezzo ma non mi piego). Dislocamento 2.732 t, 4 cannoni 152/32, 6 cannoni 120/40, 8 da 57 mm, 8 da 37 mm, 2 mitragliere e 3 tubi lancia-siluri. Equipaggio 11 ufficiali e 261 uomini. Uno di questi uomini è il marinaio scelto Colombo Giovanni.
La nave riceve l’ordine di raggiungere la Baia di San Men per effettuare rilievi idrografici in vista della possibile concessione che l’Italia aveva richiesto al governo cinese. Passato Suez, Nave Elba, fa una sosta a Aden per rifornirsi di carbone e viveri e dirige su Bombay. Era prevista una tappa a Colombo, l’odierno Sri Lanka, ma essendo in corso un’epidemia di peste dirige direttamente per la Cina via Stretto della Malacca e Stretto di Singapore. Finalmente l’Elba raggiunge la sua destinazione. È il 26 febbraio 1899. Come sappiamo la richiesta avanzata dall’Italia non venne accolta e, quindi, tutto il personale italiano addetto ai rilievi e allo studio preparatorio per la realizzazione delle strutture destinate ad ospitare la Legazione vennero presi a bordo dall’Elba che si trasferì a Shanghai, sede di tutte le navi stazionarie.
Il Ministro Residente Salvago Raggi, a capo della rappresentanza diplomatica italiana, aveva capito che la situazione dell’ordine pubblico andava aggravandosi sempre di più e chiese aiuto all’Elba che raggiunse la Baia di Ta-ku, a circa 40 Km da Tianjin, dove gettò l’ancora. È il 30 maggio. Il comandante dell’Elba ordina di formare un distaccamento di marinai per rinforzare le difese delle delegazioni diplomatiche europee. Il Tenente di Vascello Federico Paolini è incaricato di formare il distaccamento assieme al Sotto Tenente di Vascello Angelo Olivieri. Del distaccamento, oltre ai due ufficiali, fanno parte un secondo capo timoniere e un secondo capo cannoniere, cinque sottocapi cannonieri, sedici cannonieri, dodici marinai, due timonieri, un trombettiere e un infermiere. Dei dodici marinai, uno è il marinaio scelto Giovanni Colombo. Giovanni Colombo è nato a Pozzallo il 2 marzo 1878 da Giuseppe e Boccadifuoco Maria.
Un giovane di 22 anni, nato in un minuscolo paese dell’estremo sud della Sicilia Orientale, si ritrova coinvolto in una guerra dall’altra parte del mondo. Un marinaio che dovrebbe occuparsi della sua nave, si ritrova, invece, con un fucile in mano per difendersi e difendere la sua bandiera contro gli assalti di poveracci che vogliono solo liberarsi dalla sottomissione alla quale sono costretti. Forse se Zhu Yuanzhang nel lontano 1352 non avesse dato inizio alla dinastia Ming e non avesse creato i presupposti per far diventare Tianjin un importante porto cinese, non avrebbe attirato gli interessi degli avidi paesi occidentali e il giovane Giovanni Colombo sarebbe rimasto in Italia con la nave sulla quale prestava il servizio di leva.
Un altro distaccamento lascia Nave Calabria, anch’essa presente nella baia. Al comando del Tenente di Vascello Giuseppe Sirianni e del Sottotenente di Vascello Camillo Premoli altri trentotto marinai marciano su Tianjin. Il giovane Giovanni Colombo è destinato a far parte del plotone che al comando Paolini e di Olivieri si unì ai distaccamenti russi, francesi e inglesi. I vari plotoni, dopo aver raggiunto Tianjin, puntano su Pechino usando la ferrovia. Ai primi di giugno questo raggruppamento interforze giunge a Pechino e si dispone a difendere le legazioni diplomatiche europee con particolare attenzione alla Cattedrale del Nord. A seguito dei numerosi attacchi dei Boxers, gli edifici che formavano il complesso della cattedrale sono diventati il rifugio dei religiosi e dei cristiani di Pechino. Nel frattempo, la ferrovia Pechino – Tianjin è resa inutilizzabile rendendo molto difficile i rifornimenti e l’eventuale afflusso di altri rinforzi. Al drappello di undici marinai italiani, con al comando il S.T.V. Olivieri, è assegnata la protezione della cattedrale perché si teme un imminente attacco dei Boxers. Giovanni Colombo è uno degli undici.
Le autorità cinesi, intanto, hanno un atteggiamento che rasenta la connivenza con i boxers. Si mostrano insensibili alle continue richieste di protezione degli europei, i quali si videro costretti ad indirizzare messaggi di aiuto alle navi delle marine europee che, nel frattempo, avevano riempito la Baia di Ta-Ku. L’Ammiraglio inglese Sir Edward Seymour, rendendosi conto che le Legazioni europee erano praticamente sotto assedio, organizzò una spedizione composta da circa 2000 uomini di diverse nazionalità, ottimamente armati e attrezzati per effettuare le riparazioni alla linea ferroviaria interrotta in più punti. La spedizione, a bordo di cinque treni, parte da Tianjin il 10 giugno prevedendo di arrivare a Pechino il giorno successivo. Nel corso della mattinata dell’11 giugno nessun treno arriva alla stazione di Pechino. Nel pomeriggio, il cancelliere della delegazione giapponese va alla stazione per cercare di capire se ci sono notizie del convoglio. Appena sceso dalla carrozza non scortata, fu assassinato da soldati dell’esercito regolare cinese. I Boxers, intanto, si apprestano a passare dalle semplici incursioni ad un attacco vero e proprio degli insediamenti europei. Tra il 13 e il 14 giugno entrano in città distruggendo e assassinando tutti gli stranieri e i cinesi che incontrano sulla loro strada. La Cattedrale Est è assaltata e distrutta. Le case degli insegnanti europei dell’Università Imperiale sono date alle fiamme, così gli uffici delle dogane imperiali e le case dei missionari europei. La Legazione austriaca viene attaccata ma la guarnigione che la difende riesce a respingere l’attacco dei ribelli. La spedizione di Seymour, intanto, è rimasta bloccata nel tentativo di riparare la ferrovia ed è continuamente sotto attacco. L’Ammiraglio prova a seguire il fiume ma a causa delle continue imboscate è costretto a ritirarsi ritornando a Tianjin che intanto è sotto attacco. Il 16 giugno i comandanti delle navi militari decidono di assaltare i forti di Ta-ku per sottrarli al controllo del Boxers. L’impresa vedrà il successo grazie all’eroismo di un drappello di 24 marinai italiani comandati dal S.T.V. Giovanni Tanca. L’attacco e la presa dei forti di Ta-ku vengono considerati, dall’impero cinese, alla stregua di una dichiarazione di guerra. I comandi militari cinesi ricevono l’ordine di mobilitarsi mentre la corte imperiale cinese ordina alle delegazioni straniere di lasciare immediatamente il paese. Lasciare Pechino è praticamente impossibile visto che la ferrovia è impraticabile, i boxers sono ovunque e aspettano l’occasione migliore per uccidere tutti gli stranieri. Il 20 giugno il ministro tedesco Von Kettler viene assassinato da soldati regolari cinesi. Il 21, il Celeste Impero, dichiara guerra alle potenze occidentali. A questo punto ogni governo provvede ad organizzare Corpi di Spedizione da inviare in Cina per rafforzare i contingenti già presenti, per liberare le Legazioni e riprendere pieno possesso delle loro concessioni. A questa guerra partecipano anche Russia e Giappone che non avevano mai fatto mistero delle mire espansionistiche in Cina. Pechino, intanto, è interamente nelle mani dei Boxers ad eccezione dell’area delle Legazioni e della Cattedrale del Nord. Le Legazioni diplomatiche europee, concentrate in un solo quartiere, sono circondate da Boxers e truppe dell’esercito regolare cinese. La Cattedrale del Nord, Pe-tang, offre rifugio a circa 3000 persone tra missionari, religiose e cristiani cinesi ed europei. La difesa della cattedrale è nelle mani di 41 marinai. Trenta francesi e undici italiani. Gli europei sono sotto assedio. La difesa viene organizzata all’interno della Legazione britannica. Dei 409 uomini 20 sono gli ufficiali e il resto sono soldati. 82 inglesi, 81 russi, 56 americani, 52 tedeschi, 47 francesi, 37 austriaci, 29 italiani e 25 giapponesi. La cattedrale è diventata il bersaglio principale dei Boxer. È continuamente sotto attacco. Il drappello di militari italiani, del quale fa parte Giovanni Colombo, si occupa della difesa del settore settentrionale della missione mentre 30 francesi proteggono il settore meridionale dove si trova la cattedrale vera e propria. Le sortite dei Boxers sono continue. Sostenuti dall’esercito regolare, ora dispongono anche di pezzi di artiglieria e di bombe incendiarie. Viveri e munizioni cominciano a scarseggiare per i rifugiati. I Boxers iniziano a scavare dei tunnel all’interno dei quali piazzano mine che fanno esplodere provocando gravi danni. Olivieri e il suo drappello resistono tenacemente. Provano anche a fare delle sortite per indebolire gli attaccanti. Nel corso di una di queste missioni riescono a sottrarre addirittura un pezzo di artiglieria ai militari cinesi che utilizzano per difendersi meglio. Il marinaio scelto Giovanni Colombo partecipa a quasi tutte le azioni. Il 12 agosto, a soli tre giorni dall’arrivo dei rinforzi, tutti i fedeli sono riuniti per la celebrazione della messa. I nostri ragazzi sorvegliano il perimetro dell’area della cattedrale. Nessuno si è accorto che i Boxers sono riusciti a piazzare una grande quantità di esplosivo proprio sotto il muro di recinsione. Far saltare in aria il recinto avrebbe permesso di creare una breccia. Quando la mina è innescata, l’esplosione è potentissima. Il muro viene quasi sbriciolato. Sotto le macerie e per le schegge muoiono più di cento cinesi. I soccorritori, prontamente sopraggiunti, dopo quaranta minuti, riescono ad estrarre vivo il S.T.V. Angelo Olivieri. L’esplosione uccide sul colpo il Capo Cannoniere Marielli, i Cannonieri Fanciulli, Piacenza e Rosselli, i Marinai Scelti Danese e Giovanni Colombo.
“L’anno millenovecento addi dodici del mese di settembre a bordo della Regia Nave Elba, alla fonda nella rada di Ta-ku (Cina) avanti di noi Galletti Domenico commissario di prima classe nella Regia Marina commissario di bordo sono comparsi: Lunardi Giovanni Battista, cannoniere scelto di Angelo, di anni ventitré domiciliato a Sestri Ponente e Gaggero Giuseppe, cannoniere di Giovanni di anni ventidue domiciliato a Varazze i quali mi hanno dichiarato che alle ore dodici del dodici agosto del millenovecento, nella città di Pekino rimase ucciso al Pei-Tang in seguito ad esplosione di mina Colombo Giovanni, marinaro scelto, celibe di anni ventidue, residente per ragioni di servizio su questa Regia Nave, nato a Pozzallo da Colombo Giuseppe e da Boccadifuoco Maria…Il cadavere fu sepolto addì dodici agosto millenovecento della (illeggibile) Pei-Tang” (Dall’atto di morte ufficiale)
Il Marinaio Scelto Giovanni Colombo è stato insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare
©Antonio Monaca