Maria MaddalenaMaria Maddalena ex Gentile

Recco – dicembre 1875

Recco, piccolo comune del levante genovese, è famosa per i suoi orologi da torre, per le campane, ma anche per la sua lunga tradizione marinara. A Recco si costruiscono i bozzelli usati su quasi tutti velieri costruiti in tutta la Liguria e oltre. Nonostante le piccole dimensioni, i cantieri navali di Recco hanno messo in mare non meno di 200 velieri e uno di questi cantieri, uno dei più importanti, Rollo & Saccomanno, vara, alla fine dell’anno l’ultimo dei tre velieri costruiti in collaborazione perché a causa dell’erosione causata dalle continue mareggiate, la spiaggia antistante il cantiere si è talmente rimpicciolita da rendere rischioso il prosieguo delle attività e i due decidono di separarsi. Questo veliero è un brigantino a palo, cioè una nave a vela di medie dimensioni, dotata di tre alberi e con una velatura formata da vele quadre sull’albero di maestra e di trinchetto e vele auriche (trapezoidali) su quello di mezzana. Armatore è un comandante camoglino, Stefano Razeto e, al varo, chiama la sua nuova nave “Gentili”. Al varo viene registrata a Genova e assicurata con la “Nuova Mutua Assicurazione Camogliese” al n. 308. Stazza circa 800 tonnellate, è costruita il legno di quercia ed è dotato di tre lance di salvataggio come prescriveva la normativa del tempo. Il comandante Razeto assume il comando e inizia i suoi traffici che si svolgono principalmente con gli Stati Uniti. Il brigantino è subito registrato per il Lungo Corso e quindi è abilitato alla navigazione oceanica. Lunghezza 50,28 m, larghezza massima 10,18, pescaggio 6,50 m e puntale di 7,18 metri.

Pozzallo, 20 novembre 1883

Si prepara una nottata ventosa. Per tutta la giornata il vento di scirocco ha battuto il paese. Il centro della bassa pressione è a poche miglia a sud delle isole maltesi. Le barche della “valata” sono state messe in sicurezza e dei pochi bastimenti in rada, alcuni hanno levato l’ancora per andarsi a riparare a Porto Ulisse e altri, sperando in un miglioramento del tempo, hanno rinforzato l’ancoraggio. Il fondale sabbioso davanti ai “maizzè” è un buon tenitore. L’aria è satura di sale il crepuscolo trova un paese di mare avvolto dalla foschia salata, con le strade totalmente deserte e con il buio che pare faccia crescere i gatti che gironzolano cercando anch’essi un riparo. Da via Ariosto, all’incrocio con via Garibaldi si sente forte il rumore del mare e nella controluce del tramonto l’acqua salata dei frangenti forma come un velo che sfoca tutto. Oltre all’aerosol marino anche la sabbia del Sahara trasportata dal vento, per l’effetto ottico causato dai bassi raggi del sole del tramonto mostrano in lontananza la spiaggia di Raganzino di un pallido colore giallo ocra.

Giovanna non si sente bene. Dalla chiesa Madre il suono dell’Ave Maria arriva lontano. Il vento pare allontanare i suoni buoni e, infiltrandosi fra le fessure di “porte e finistruna”, sembra cattivo, sembra voler ghermire le anime buone su comando del demonio. Giovanna accende subito il lume a petrolio per far luce ma anche per allontanare, con essa, i cattivi pensieri e la paura che l’assale. Nella stanza da letto, lo mette sul “cantarano” in noce nazionale, ben indietro, per impedire alla piccola Marianna di toccarlo. Quante storie si raccontano di bambini bruciati vivi dai lumi a petrolio caduti accidentalmente.

Marianna ha solo quattro anni, ma deve accudire un fratellino ancora più piccolo di due, Carmelo. Il papà le ha portato dall’ultimo viaggio una piccola bambola di pezza e sta giocando, ma avverte il malessere della mamma. La segue con lo sguardo cercando di intuire cosa non va. È troppo piccola per rendersi conto che un altro fratellino o sorellina è in arrivo. Carmelo dentro una piccola culla di vimini dorme.

«Mariannì, stai attenta a tuo fratello.»

Mariannina ha dovuto imparare a fare la bambinaia. Non le dispiace. Considera il fratellino come fosse il suo bambolotto di pezza “vero”, ma ora sta dormendo. A cosa deve stare attenta. Perché la mamma le dice di stare attenta al fratello se la rimprovera sempre quando gli si avvicina mentre dorme?

«Ahaa», sussurra Giovanna.

Una fitta al basso ventre. Chissà dove si trova Luigi in questo momento. È il suo terzo parto e Luigi ancora una volta è in mezzo al mare. È sola, con due bambini piccoli, senza mamma morta diciassette anni fa e, in questo momento, ha tanto bisogno di qualcuno che l’abbracci, che la consoli, che le faccia forza. Spera non si tratti delle doglie. Mentalmente cerca di calcolare quanto tempo è passato dalla prima nausea e poi ripensa a quella notte d’amore trascorsa con Luigi appena di ritorno da un viaggio e prima della partenza il giorno successivo. Sono passati nove mesi. Nove mesi senza vedere Luigi perché il mare lo ha portato in porti lontani. Forse è arrivato il momento. Si siede sul bordo del letto indecisa se stendersi o meno per cercare di capire se quel malessere e quella fitta sono il preludio alle doglie ma poi decide di andare in cucina e preparare qualcosa da mangiare per i bambini e per lei. Appena si alza un’altra fitta.

«Mariannì non ti muovere e non svegliare Carmelo.»

Prende lo scialle di lana nera, lo avvolge attorno alla testa e si avvia alla porta. Rimuove “a stagnetta”, la apre, si affaccia e chiama «Raffiela, Raffiela.»

Il vento soffia più forte. Raffaela è una delle sue sorelle. Ha sette anni meno di lei e le abita di fronte da quando lo scorso anno si è sposata con Angelo Emilio, secondo cugino di Luigi. Anche Angelo è un marinaio e anche lui è in mare. Anche lei, cinque mesi fa era incinta. In una calda mattina estiva, resa afosa dallo scirocco, tanto per cambiare, aveva partorito un bambino. Era stato un parto difficile e il piccolo, che aveva chiamato Carmelo, nacque senza vita. Perdere un bambino è un trauma per ogni mamma, ma se la morte avviene alla nascita la sofferenza è devastante. Raffaela, fino ad oggi, soffre di sensi di colpa. Nonostante il sostegno della sorella, Giovanna, e delle sorellastre non riesce ad allontanare il pensiero che la colpa della morte del figlio sia stata sua. Anche ora, sola, nella piccola cucina, pensa al piccolo Carmelo mentre si appresta a tagliare la provoletta che ha comprato la mattina quando sente la voce della sorella. Prende il lume e si avvicina alla porta. Apre il piccolo portello e subito sente il vento freddo che cerca di intrufolarsi attraverso la piccola apertura. Sporge la testa ma non vede la vede. L’ingresso della sua casa è sulla via Garibaldi mentre quello della sorella è su via Ariosto. Non può vederla. Fuori è già buio. Le strade non sono illuminate. Ci sono dei piccoli lumi ai crocicchi più importanti ma dalla casa di Angelo Emilio e Raffaela Barrera sembrano come i fanali dei bastimenti in lontananza. Mah, forse si è sbagliata. Oggi la sorella le era sembrata affaticata e forse si è lasciata suggestionare scambiando i fischi del vento per la voce di Giovanna. Sta per chiudere il piccolo portello e questa volta è certa di sentire la voce della sorella. Chiude l’apertura, indossa il cappotto che la mamma le aveva dato in dote, prende il lume e, dopo aver avvolto il capo con uno scialle, apre la porta ed esce sulla piccola “cciappetta”. Si ricorda di non aver preso la chiave. Se la sorella ha bisogno di lei deve chiudere la porta. Gira su sé stessa e, senza entrare, stende il braccio e prende la chiave di ferro che è appesa su un chiodo nella parte interna della porta. Subito da due mandate, scende velocemente i tre gradini e si trova all’angolo della strada. Giovanna, con il lume acceso, è sul ciglio della porta di casa sua e guarda in direzione di Raffaela. Appena la vede le fa cenno di avvicinarsi e Raffaela non può fare a meno di notare una smorfia di dolore sul viso della sorella, accentuata dalla fiamma traballante del lume a petrolio.

«Giovà, che hai? Stai bene?» chiede mentre si avvicina. Pochi metri le separano. Raffaela quasi con un balzo è sotto la piccola scala che permette l’accesso alla casa di Giovanna. Appena le è vicina si rende subito conto che la sorella sta per entrare in travaglio.

«Entriamo, presto. Vieni. Ti aiuto a metterti a letto. Dove sono i bambini?» «Marianna sta giocando» e la indica stendendo la mano «e Carmelo dorme. Fra poco dovrebbe mangiare e io non ce la faccio». Al sentire “Carmelo” ha un sussulto e il pensiero va subito al suo “Carmelo” ma si riprende subito. «Dai, Giovà, stai tranquilla. Ci penso io.»

Raffaela fa sedere la sorella sul bordo del letto e fa una carezza alla piccola Marianna che la guarda incuriosita. Normalmente la zia non viene a casa con il buio. Forse vogliono fare festa. Poi guarda la mamma e capisce che qualcosa non va.

«Giovà, stenditi. Ti aiuto a togliere le scarpe e poi preparo un po’ di pani “cuotto pe picciriddi”.» Mentre va in cucina si toglie il cappotto e lo scialle e li mette “nto ppizzamantella” che è davanti alla porta e pensa al da farsi. Ricorda i momenti che precedettero il suo parto e poi ha assistito la sorella altre due volte e sa benissimo quello che deve fare. La brace non è completamente spenta. Giovanna l’aveva rinfocolata da poco in previsione di scaldare la cena. Aggiunge un po’ di carbone e mette un pentolino sul fuoco della piccola cucina a legna. Ritorna dalla sorella con un bicchiere d’acqua.

«Che dici, vado a chiamare la levatrice?» e senza aspettare risposta soggiunge «mi sa che stai per partorire.»

In quel momento un’altra fitta al basso ventre fa stringere i pugni a Giovanna. Forse sono coliche intestinali, forse “sunu i uredda ca s’antruccinienu” per qualcosa che ho mangiato e mi ha fatto male o forse basta un po’ di “acqua ugghiuta ca scozza ra lumia e a ddauru” per far passare tutto, pensa fra sé Giovanna. Cerca di illudersi ma dopo due parti sa benissimo che non è così. Non sono coliche. Sono contrazioni e iniziano ad essere cadenzate. Il suo utero comincia a contrarsi ogni quindici minuti circa e questa quasi precisione è confermata dall’orologio a pendolo appeso nella stanza da letto che Giovanna guarda ogni volta che sente avvicinarsi la fitta.

Raffaela torna in cucina. L’acqua è sufficientemente calda. Taglia un pezzo di pane che Giovanna tiene avvolto in un tovagliolo e chiuso in un cassetto e lo spezzetta dentro il pentolino. Aiutandosi con il cucchiaio lo schiaccia sul fondo e contro le pareti del pentolino per fargli assorbire tutta l’acqua, aggiunge un filo di olio d’oliva e prepara una pappetta morbida e dal caratteristico odore di “pani ri casa” cotto nel forno a legna. Mette il coperchio e torna dalla sorella.

«Giovà, che faccio? Chiamo la levatrice?» e ancora una volta senza aspettare la risposta della sorella continua «do da mangiare alla bambina. Ho preparato un po’ di “pani cuottu”. Ne vuoi?» «No, no. Non ho fame. Forse più tardi. Va, chiama “a za ‘ngilina” ai bambini penso io. Fa presto, Raffilì prima “ca a za ‘ngilina” va a dormire. Questo è il terzo. Non perderà tempo a nascere come, invece, hanno fatto gli altri due. Ah, se ci fussi a mamma.» «Giovà, ci sono io. Ti aiuto io. Non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Stai tranquilla. Vado a chiamare a “za ‘ngilina”.»

Angela Trapani, “a za ‘ngilina”, ha una grande esperienza. Non sa nemmeno lei quanti bambini ha fatto nascere. Ha salvato tante vite proprio giocando sull’esperienza e sulla caparbietà che la contraddistingue. Tante vite di madri e di nascituri che per complicazioni durante il parto hanno rischiato di non arrivare alla fine ed è per questo motivo che nonostante l’età, settanta due anni, continua a fare questo “lavoro”. Solo l’esperienza permette di risolvere i parti complicati. Ha appena finito di mangiare le due patate bollite e sta per mettere il piatto nella piccola “vagghila” che sente bussare alla porta con insistenza. Riconosce il battere alla porta di chi ha bisogno di lei. Quel bussare ha un ritmo particolare, nervoso, impellente. Chi bussa è solitamente una madre, una sorella, una vicina di casa. Quasi mai un marito o un fratello. Gli uomini in questo paese sono quasi sempre assenti. Tornano a casa, spesso per una sola notte e ripartono per tornare dopo un anno o anche più e quasi sempre il risultato di quel ritorno verrà alla luce dopo nove mesi. Si avvicina alla porta. «Cuè astura?»

E dall’altra parte «za ‘ngilina, sono Raffaela Barrera, la moglie di Angelo Emilio. Mia sorella Giovanna si sente male. Forse ha le doglie. Potreste venire a vederla?» e senza aspettare risposta aggiunge «fate presto però. È sola in casa con due bambini piccoli.»

«Sempri ca prescia viniti. Aspetta.» Angela apre la porta, prende lo scialle di lana che è proprio davanti all’uscio, esce, dà tutte le mandate con la pesante chiave di ferro e si avvia senza aspettare Raffaela. Conosce bene la strada. Ha già fatto nascere Marianna prima e Carmelo dopo ed ha fatto partorire anche Raffaela.

Angela Trapani cerca di sfuggire lo sguardo di Raffaela perché sa che spesso, quando un parto va male, c’è sempre qualcuno che attribuisce responsabilità alla levatrice. Dall’altra parte sa benissimo che nessuno le ha rimproverato qualcosa. Ricorda bene quel parto. Il parto di una primipara è sempre un po’ più complicato sia per l’inesperienza della donna ma anche per il fatto che le parti anatomiche interessate devono “abituarsi” alla nuova esperienza. Quel parto, però, ebbe una complicazione: il bambino si presentava podalico. Se l’avessero chiamata qualche giorno prima avrebbe potuto rendersi conto della situazione e, grazie all’esperienza acquisita, avrebbe potuto fare qualche manovra per far girare il bambino ma Raffaela non voleva che nessuno la visitasse. Si vergognava. Durante il parto i piedi del bambino si incunearono nel canale del parto quando la dilatazione non era ancora sufficiente per far passare la testa del feto. Quando i piedini del bambino era già fuori, il cordone ombelicale seguì le gambe comprimendosi e privando il bambino dell’ossigeno in quel momento delicato. Quando Angela se ne rese conto era già troppo tardi. Cercò di accelerare il parto ma fu tutto inutile. Anche il tentativo di rianimare il neonato fu inutile.  Su quella casa fu come fosse crollato il tetto.

Aumenta il passo quasi a voler rimediare a una colpa non commessa. Raffaela la segue cercando di coprire i pochi passi di vantaggio che ha la levatrice ma questa pare abbia le ali ai piedi e continua ad aumentare la distanza che le separa. Nessuno delle due durante il tragitto pronuncia parola. La notte non è certo silenziosa. Il vento pare muggire, a volte fischia e altre volte ulula come un lupo. Meno male che la prossima luna piena è il 22 perché questi ululati potrebbero far pensare ad un lupo mannaro e si sa, “i lupunari” vanno a caccia di cristiani che si attardano a chiudersi in casa prima del sorgere della luna piena. Raffaela mentre pensa queste cose si segna ripetutamente con ampi segni di croce mentre guarda a destra e a sinistra scrutando tutte le ombre che ondeggiano nella notte. Sono arrivate. La levatrice sta per bussare alla porta di Giovanna che, avendole sentite arrivare, spalancò il piccolo portone di legno mentre con una mano si reggeva il pancione.

«Chi c’è, figghia mia?» Giovanna la guarda negli occhi cercando di stabilire un contatto ma l’anziana donna li tiene bassi mentre toglie lo scialle. «Za ‘ngilina, penso che ci siamo. “i rogghi” sono sempre più forti. Il bambino vuole nascere. «Hai già rotto le acque?» «No, no, za ‘ngilì.» «Bene. Mettiti sul letto. I bambini?» «Ho appena finito di far mangiare Marianna, ho lavato Carmelo, gli ho dato da mangiare e l’ho rimesso “na naca”.»

Giovanna, intanto, ha chiuso la porta e cerca di portarsi avanti. Nella piccola cucina a legna attizza la brace, aggiunge un altro po’ di carbone poi riempie una pentola di acqua e la mette sul fuoco. Ci sarà bisogno di tanta acqua calda. Va nella stanza da letto, prende la bambina e comincia a spiegarle che è meglio se va nell’altra stanzetta dove c’è un lettino e a dormire. Domani mattina avrà una bella sorpresa. Marianna la guarda e pensa di aver capito.

«Papà, papà, papà…» Raffaela fa cenno di sì con la testa quasi meravigliandosi dell’innocenza della bambina timorosa di turbarla dicendole di no. Prende una candela, l’accende e alla fioca luce della piccola fiammella porta Marianna “no scupiettu” dove si trova “u catusu”. Le abbassa le mutandine e la siede sul vaso.

«Avanti, Marianna, fai la pipì» e aspetta. Sente la pipì della bambina che scorre dentro il grande vaso. Sembra quasi vuoto. In effetti sono solo due persone ad usarlo. Poi pensa al suo. Lei è sola. Angelo è lontano. Rivolge una preghiera alla Madonna perché protegga il marito dai pericoli e chiede a Marianna «hai finito?» «Si, zia.»

«Avanti che andiamo a dormire» e mentre solleva la bambina per farla scendere dal vaso e asciugarla questa le chiede «zia, ma chi è quella signora?» Raffaela fa un gesto con la mano portandola verso l’alto rigirandola «è una signora che è venuta per far passare il mal di pancia alla mamma. Ora vai a dormire. Chiude la porta dello sgabuzzino e, passando per la piccola cucina apre la porta che immette nella stanzetta che fa anche da ripostiglio e nella quale c’è un piccolo lettino. Marianna capisce che qualcosa non va ma ripensa alla sorpresa di cui la zia le ha parlato e, pur non essendo certa che si tratti veramente del suo papà che ritorna, si tranquillizza. Raffaela la siede sul letto, la sveste del vestitino, le toglie scarpe e calzettoni e fa l’operazione inversa mettendole le calze di lana e la camicia da notte pesante. Sposta la pesante coperta e sistema la bambina. Si abbassa, la bacia sulla fronte e le sussurra «addummisciti». «Zia, voglio la mamma. Perché non posso dormire con la mamma?»

«Arà, Mariannì, addummisciti. La mamma ha mal di pancia. Ora la signora glielo fa passare e poi ti viene a prendere e ti porta con lei nel letto grande.» Raffaela, guardando la nipote, porta l’indice sulla punta del naso «ssssssss…». Prende la candela e torna nella stanza da letto della sorella.

Angela Trapani ha preso una sedia e si è seduta vicino al letto. Raffaela entrando vede la sorella con una smorfia sul viso e la levatrice che appoggia le sue mani sulla parte superiore del pube. Cerca di capire la forza delle contrazioni e l’intervallo che le separa mentre tiene sott’occhio l’orologio a pendolo ma principalmente sia accerta che il posizionamento del feto sia corretto. Riesce ad apprezzare la rotondità della testa. Perfetto. È posizionato bene. Appena la dilatazione sarà completata inizierà a farsi strada. Giovanna inizia a lamentarsi perché le doglie cominciano a farsi più dolorose.

«Forza, Raffilì, prendi dei panni puliti. Prendi anche tutti “i tuvagghi” che trovi. Appena rompe le acque serviranno e serviranno anche dopo. Raffaela conosce bene la casa della sorella. Sa perfettamente dove tiene ogni cosa. Si avvicina all’armadio di noce nazionale e nel grande specchio vede riflessa la sorella sul letto matrimoniale e la levatrice che continua a tastarle il basso ventre. Ha giusto il tempo di aprire lo sportello e il cassettone che Giovanna emette un sibilo aspirato. Ha rotto le acque.

«Presto, presto, Raffaela, prendi subito questi panni e anche gli asciugamani» le grida Angela. Afferra i teli di lino, quelli di cotone e due asciugamani e quasi li lancia alla levatrice che immediatamente li utilizza per tamponare il liquido amniotico che, essendo molto gelatinoso, non fa in tempo ad impregnare le lenzuola. Aiuta Giovanna a sollevarsi un po’ e le mette gli asciugamani sotto il bacino. Prende l’altro cuscino e glielo mette sotto le spalle. «”Spingiti, Giovà.” Mettiti più indietro. “Appoiti na spaddera ro liettu.”»

Sono passate tre ore dall’Ave Maria. Nonostante il fiatone di Giovanna, Raffaela sente distintamente la molla del pendolo che carica il martelletto che lentamente picchia sulle bacchette di metallo facendole vibrare per dieci volte. Don, don, don…

«Forza, Giovà» sussurra “a za ‘ngilina” «vedrai che nascerà presto. Questo troverà il canale già aperto.»

«Speriamo, speriamo» e Giovanna non riesce a continuare che arriva un’altra contrazione ancora più forte.

«Avanti, Giovà, comincia a spingere. Respira lentamente e quando arriva la contrazione spingi. Chi t’agghiè ddiri iu comu a fari? Faciemulu nasciri stu picciriddu.» Nella piccola culla Carmelo continua a dormire. Raffaela socchiude la porta dell’altra stanza e ascolta per capire se Marianna dorme. Nessun rumore. La bambina si è addormentata quasi subito. Giovanna, poi, cerca di non gridare. Stringe i denti. C’è una forma di indescrivibile pudore, che rasenta la vergogna nel mostrarsi all’anziana levatrice e alla sorella.

«Raffaela, “l’acqua caura” è pronta?» chiede la levatrice alla sorella che va avanti e indietro nella stanza da letto. Sa che non può fare nulla. Deve solo seguire le indicazioni “ra za ‘ngilina Trapani”. «Si, si pronta è.»

«Devo lavarmi le mani. Prendi un pezzo di sapone e un asciugamano pulito.»

Nella stanza da letto ci sono due lumi a petrolio e due candele accese per avere più luce. Raffaela prende la stessa candela che aveva usato quando ha messo Marianna a letto e, rivolgendosi alla levatrice dice «viniti, viniti» e l’accompagna nella piccola cucina non prima di aver preso un altro asciugamano dal cassettone. Non riesce a capirne il colore. La luce calda della fiamma del lume lo fa sembrare come fosse giallo pastello o avorio. Non sembra bianco, comunque. Giovanna mette un po’ d’acqua calda in un boccale di coccio e ne aggiunge di fredda per stemperarla, porge il sapone alla levatrice che stende le mani sopra “a vagghila” aspettando che le venisse versata l’acqua. La temperatura è perfetta. Aveva arrotolato la giacca di lana lungo gli avambracci e mentre Raffaela versa l’acqua, meticolosamente “a za ‘ngilina” rigira le mani insaponandole e le risciacqua con altrettanta attenzione asciugandole mentre ritorna nella stanza da letto.

Ha impiegato meno di tre minuti a tornare in quella sala parto improvvisata. Le doglie pare si siano diradate e sono meno intense e Giovanna se ne è accorta.

«Za ‘ngilina, che succede, non vuole nascere più? Forse non è ancora il momento.»

«No, figghia mia, è normale. Ma non ricordi due anni fa quando hai partorito Carmelo? È successa la stessa cosa. Quando sembrava che fosse sul punto di nascere abbiamo aspettato altre quattro ore. Speriamo non sia lo stesso ora e poi hai rotto le acque. “O nasci o nasci!”»

Alle tre e cinque del 21 novembre nasce il secondo maschietto della famiglia di Luigi Emilio e Giovanna Barrera. Il nome è già stato deciso dai due coniugi. Angelo se maschio e Maddalena se femmina. Il giorno seguente, considerata l’assenza del padre e l’indisponibilità della madre, la levatrice si reca allo Stato Civile comunale per procedere alla registrazione della nascita. Servivano due testimoni per effettuare la registrazione di una nascita o di una morte e solitamente davanti all’ufficio c’era sempre qualcuno che in cambio di qualche spicciolo si prestava “volontariamente”. Alle dieci e cinque Angela Trapani, seguita da Salvatore Agosta, marinaio sessantenne e da Luciano Trapani anche lui marinaio quarantottenne, in qualità di testimoni, si presentano davanti all’assessore Cristoforo Vetrano, delegato a svolgere le funzioni di Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Pozzallo e denunciano la nascita del piccolo Angelo Emilio.

Camogli, 1886

Il “Gentili” passa di mano e viene comprato da un altro armatore di Camogli, il cavalier Domenico Ferrari che ne mantiene il nome. L’11 luglio 1886 il cavalier Ferrari, per una grave malattia, muore e la proprietà del brigantino passa, per eredità, alla moglie, anche lei camoglina, Felicina Casabona, conosciuta per essere una grande benefattrice per le famiglie bisognose del borgo marinaro. Assieme al marito avevano contribuito alla costruzione di un ricovero per le figlie di marinai deceduti in mare e, grazie ad una cospicua offerta della vedova Casabona, fu costruito l’ospedale di Camogli che divenne subito un importante presidio sanitario per tutti i comuni limitrofi. Oltre a fare beneficenza, però, la signora Casabona, è dotata di uno spiccato senso degli affari e continua a portare avanti l’attività del marito. Il comando del “Gentili” è affidato ad un altro camoglino di grandi capacità, il comandante Olivari. Nel marzo 1893, l’intero fasciame viene rivestito di metallo giallo per conferirgli maggiore resistenza e protezione dai denti di cane, migliorare l’impermeabilità dello scafo e per poter mantenere la classificazione che dal Lungo Corso, navigazione senza limiti, era passata a AT, cioè navigazione in Atlantico senza possibilità di andare oltre il Capo di Buona Speranza e Capo Horn. Fino al 1896 la signora Casabona mantiene la proprietà del brigantino e nel 1897 lo vende al comandante Prospero Oneto, subentrato ad Olivari, che insieme ad altri due comandanti camoglini, Ferro e Mortola, avevano fondato una società di armamento. I nuovi armatori cambiano il nome al “Gentili” in “Genitori F.” e avviano grandi lavori di manutenzione. Da quel dicembre 1875 sono passati ventidue anni durante i quali il brigantino ha percorso tutto il Mediterraneo e il Mar Nero. Non si contano, poi, le traversate dell’Atlantico per commerci con America del Sud e America del Nord. Adesso ha bisogno di grandi lavori di riparazione. In cantiere vengono sostituite parti del fasciame, si pulisce tutta la carena, si cambiano bozzelli, manovre, gallocce, e la dotazione velica viene tutta rinnovata. Allo scafo viene riapplicata la fasciatura in metallo giallo e dopo i lavori, per aver modificato i volumi delle stive, la stazza lorda da 800 passa a 835 tonnellate con una capacità di carico 784 tonnellate.

Il valore assicurato è di 200.000 lire, una somma considerevole per l’epoca. Arriviamo al 1901 quando un armatore di Genova Nervi, Giombattista Garibaldi, lo acquista e gli cambia il nome in “Maria Maddalena”. Inizialmente Giombattista Garibaldi assume anche il comando del brigantino, ma nel l901 lo affida a Luigi Garibaldi Capitano di Lungo Corso figlio di Angelo Garibaldi e di Angela Poggi, anche lui di Genova Nervi, tutti imparentati con il Giuseppe che compì l’Impresa dei Mille.

Pozzallo 1900

Angelo Emilio ha diciassette anni. Già alla nascita il suo destino lavorativo era segnato. Avrebbe fatto il marinaio. Durante l’adolescenza frequenta i pescatori della “Valata”. È cresciuto fra reti, barche piccole e grandi, barche per la pesca della sarda, e piccoli velieri che fanno la spola fra Pozzallo e l’Isola di Malta. Man mano che acquisisce esperienza passa a barche sempre più grandi e l’inizio del nuovo secolo lo trova con il libretto di navigazione rilasciato l’anno precedente dalla Capitaneria di Porto di Siracusa con il numero di matricola 1060. Tutti gli Emilio di Pozzallo sono marinai, alcuni Padroni, altri piccoli armatori, qualcuno è riuscito anche ad avere la patente di Capitano di lungo Corso. Da quando il loro avo, proveniente da Capri, è arrivato a Pozzallo alla fine del 1700, la crescita economica e sociale di questa famiglia è cresciuta continuamente e Angelo beneficia del buon nome che gli Emilio sono riusciti a conquistarsi. L’inizio del nuovo secolo porta speranze nuove e apre nuove possibilità di crescita. Il Nuovo Mondo affascina le nuove generazioni, ma anche l’Argentina viene descritta come un paese dove chi ha voglia di lavorare può diventare ricco in breve tempo. Angelo non sfugge al miraggio dei soldi facili. Qualcuno degli Emilio è già emigrato in America e i dollari e i pacchi che fa arrivare alla famiglia lasciata a Pozzallo, nel giovane Angelo avvalorano sempre di più il sogno di arrivare al successo. Preferisce, però, andare in America con qualche risparmio e per questo decide di cercare un imbarco sulle grandi navi impegnati nei traffici oltre oceano. A Genova, la piazza con il più grande “collocamento” marittimo d’Italia e forse dell’intero Mediterraneo, cerca un armatore disposto ad imbarcarlo. Ha tutte le carte in regola per essere arruolato su “nu bastimientu ri malafora” come venivano chiamati i velieri che effettuavano navigazioni fuori dalle Colonne d’Ercole. Giombattista Garibaldi cerca un equipaggio per la nave che ha appena acquistato dagli armatori camoglini, la “Maria Maddalena”. Appena rimessa a nuovo e pronta ad affrontare un viaggio attraverso l’Atlantico per approdare in America. Il sogno di Angelo comincia ad avverarsi. Il bastimento parte da Genova carico di merci varie destinate a principali porti del Mediterraneo, ma la tappa finale sono gli Stati Uniti, l’America. Angelo non ha l’intenzione di disertare appena arrivato in America, come fanno molti pozzallesi. Vuole, intanto conoscere il Nuovo Mondo, capire se veramente è così facile arrivare al successo e poi, completato l’imbarco, con qualche risparmio in tasca, emigrare in modo regolare e con il libretto di navigazione pulito per riservarsi la possibilità di ritornare in Italia e riprendere a navigare nel caso non dovesse trovarsi bene. La diserzione avrebbe comportato, infatti, oltre a delle sanzioni economiche e penali, anche la perdita del libretto di navigazione qualora fosse ritornato in patria. Navigazione tranquilla nel Mediterraneo. La “Maria Maddalena” è molto più confortevole delle navi sulle quali ha navigato fino a quel momento. Certo, impegnativa quando bisogna cambiare le mura e richiede una continua attività di manutenzione in coperta, ma il lavoro non è così pesante e la nave si mostra molto più “tranquilla” nell’affrontare il mare. Rollio e beccheggio sono meno fastidiosi, si mangia meglio e si dorme bene.

Estate 1901 – Atlantico centro-settentrionale

L’anticiclone delle Azzorre è più stabile del solito. È dal mese di maggio che staziona stabilmente sull’Oceano Atlantico settentrionale espandendosi fino al Mediterraneo. Le temperature, minima e massima, sono quasi sempre sopra la media stagionale e anche quella dell’acqua risente di questa prolungata “tranquillità”. Le correnti provenienti dall’equatore portano acqua calda e, con il sole che picchia così forte, l’acqua non riesce a disperdere il calore, accumulando, come fosse una batteria perennemente sotto carica, una grande quantità di energia. Il 30 luglio, a circa 540 miglia a sud dell’isola di Santa Cruz dell’arcipelago delle Azzorre, in mezzo all’Oceano Atlantico, s’innesca una piccola depressione. Probabilmente verrà “mangiata” dall’anticiclone tanto è debole. Il 31 luglio, invece, è ancora attiva con la pressione che pare avviata ad una rapida diminuzione. Qualche nave che dalla Vecchia Europa è diretta in Sud America sente sulle sue vele l’effetto degli alisei ma nota che, in quella zona, cambiano velocemente direzione e aumentano la loro velocità. I comandanti intuiscono che sta per formarsi una depressione tropicale. Meglio allontanarsi in fretta. La grande energia accumulata dal mare, le condizioni particolari di temperatura e pressione e la forza di Coriolis, conseguenza della rotazione della Terra, innescano la depressione che comincia ad avvitarsi su sé stessa spostandosi contemporaneamente verso ovest. Man mano che si sposta acquista sempre maggiore forza. I venti aumentano di intensità e lo spostamento verso il Golfo del Messico conferisce a questa depressione una forza sempre maggiore per la quantità di energia accumulata nell’acqua della Corrente del Golfo.

Porto di Mobile, Alabama (USA), agosto 1901

Alla fine della guerra civile americana cessata il 23 giugno 1865 la produzione del cotone, a causa dell’abolizione della schiavitù, ha subito una contrazione. Scarseggia la manodopera a basso costo e il cotone prodotto, adesso, deve confrontarsi con gli altri produttori del mercato. In tutto il paese c’è una forte crisi economica che spinge parecchie famiglie ad emigrare in altri stati della Federazione e molti di questi sono schiavi divenuti liberi a seguito dell’abolizione della schiavitù. Per far fronte a questo problema ma anche e, forse, soprattutto per contenere la sete di libertà degli schiavi, il 21 maggio 1901, nella Hall of the House of Representatives a Montgomery, capitale dello Stato, è convocata in assemblea la “Convention” dei rappresentanti eletti per la redazione di una nuova Costituzione. In questo contesto politico, sociale ed economico, il porto di Mobile rappresenta, comunque, una delle realtà più vivaci di tutto il paese. Da Mobile, l’Alabama è connesso con tutto il mondo. Oltre al cotone parte una gran quantità di legname diretta in tutti gli stati che si affacciano sull’Atlantico, nonostante la concorrenza della ferrovia, e arrivano essenze pregiate, come il mogano, dai paesi dell’America Centrale come il Messico o l’Honduras. Ora il porto di Mobile è diventato uno dei più importanti degli Stati Uniti. Dalla metà di luglio 1901, il brigantino a palo “Maria Maddalena” è impegnato nella caricazione di una partita di legname da costruzione destinato a Buenos Aires in Argentina. Angelo ha avuto modo di vedere gli Stati Uniti e fra qualche mese vedrà anche l’Argentina. Certo Mobile non è New York o Chicago o la California, ma sempre America è. Le previsioni meteorologiche di Mobile avvisano del possibile arrivo di un uragano e il comandante Garibaldi segue con attenzione i bollettini che vengono passati alle navi in porto. Il tempo è bello e la caricazione è quasi terminata. I marinai stanno provvedendo al rizzaggio del carico e il nostromo, avvisato del possibile cattivo tempo che avrebbero incontrato lungo la rotta si sincera personalmente del lavoro dei marinai. Caricare tronchi d’albero è un’operazione delicata. I tronchi devono essere bloccati da cunei per impedirne il rotolamento e non devono aver alcun gioco vicino alle murate della nave. L’attrito impedisce lo scivolamento per il beccheggio, ma il rollio può innescare lo spostamento laterale con possibile sfondamento della murata. Nel caso di cattivo tempo, inoltre, il rollio può anche essere più accentuato perché, trattandosi di un carico “leggero”, il baricentro della nave non è molto basso e, quindi, la stabilità ne risente.

Carico legname a Mobile

Mobile, 2 agosto 1901

Nel pomeriggio tutto il carico è a bordo. Il comandante, accompagnato dal nostromo e da un altro ufficiale, ispeziona le stive per accertarsi personalmente che le sue istruzioni siano state seguite alla lettera. Dopo aver verificato il corretto stivaggio del carico, Luigi Garibaldi ordina di preparare la nave ad affrontare cattivo tempo. Tutte le trincature vengono rinforzate e così alberi, pennoni, trozze, drizze, controbracci, controamantigli, sartie e paranchi di rollio. I boccaporti vengono accuratamente chiusi, vengono assicurate le vele, tutto quanto in coperta non indispensabile in navigazione viene messo in sicurezza, si controllano le pompe di sentina, il buon funzionamento del timone e, infine, si approntano eventuali pezzi di rispetto per intervenire immediatamente in caso di avarie. Un ultimo controllo viene fatto alle attrezzature da utilizzare nel caso di “uomo a mare”. Prima del tramonto la “Maria Maddalena” è pronta, lascia l’ormeggio di Mobile e inizia il suo viaggio verso l’Argentina. Luigi Garibaldi vuole seguire una rotta che lo porterà fra la Florida e l’Isola di Cuba per poi puntare verso Sud Est protetto dalle Bahamas e quindi costeggiare Haiti fino alle Isole Vergini. Da qui, navigando verso Sud, raggiungere Trinidad e Tobago per rifornirsi di viveri e effettuare qualche riparazione urgente. Fino a Cuba, considerati i bordi sono circa 700 miglia e se riesce a fare 6/7 nodi, in 4/5 giorni dovrebbe farcela ad arrivare sotto le Bahamas. Per il giovane Angelo quei preparativi erano normale preparazione quando si prevede l’arrivo di una tempesta, ma non aveva mai avuto a che fare con una tempesta tropicale figuriamoci con un uragano. In realtà non si avevano notizie certe di un uragano in arrivo. Alcune navi arrivate a Mobile dall’Europa raccontavano di aver incontrato cattivo tempo, ma sembrava si trattasse di una piccola depressione destinata ad esaurirsi in breve tempo. Il capitano Garibaldi, invece, sembrava preoccupato. Aveva affrontato tanti passaggi oceanici e sapeva benissimo che una “piccola depressione”, soprattutto in quella stagione, facilmente si trasformava di un pericoloso uragano. Il rischio di trovarsi proprio sulla rotta dell’occhio del ciclone era concreto e non poteva costeggiare le coste del Golfo del Messico per evitarlo e fuggire ad un incerto pericolo allungando enormemente la durata del viaggio. Inoltre, aveva un carico di grano per Genova che lo aspettava in Argentina e non poteva rischiare di perderlo a favore di qualche altro armatore. La partenza avviene senza intoppi. Il vento, leggero, proviene da SE, con un bordo di bolina, il brigantino si porta al traverso dell’Isola di Gaillard e, dopo aver cambiato mura, con un altro bordo esce dalla Baia di Mobile. Sulla rotta qualche piccola nave e barche da pesca. Le quasi trenta miglia vengono percorse in nove ore circa. Poco dopo l’alba il vento rinforza mantenendosi sempre da SE. La “Maria Maddalena” ha tutte le vele al vento. Luigi Garibaldi ordina alle guardie di riferire di ogni cambiamento delle condizioni del mare e del vento mentre lui ha sempre un occhio al barometro che segna un leggero abbassamento della pressione.

Atlantico Centrale – Golfo del Messico 3 agosto 1901

La piccola area ciclonica formatesi il 31 luglio si è spostata verso Ovest e inizia a manifestare il classico andamento rotatorio caratteristico di un uragano in embrione. Ora si trova a circa 1000 miglia a ESE dell’Isola di Bermuda e si sposta con una velocità di 14 nodi, circa 26 chilometri l’ora. La “Maria Maddalena”, alla stessa ora, le 7 ora locale, si trova appena fuori la Baia di Mobile e naviga di bolina stretta con mura a sinistra con rotta Sud. Man mano che il sole si alza, il vento aumenta. Garibaldi lascia su tutte le vele per sfruttare appieno la potenza del vento. Se continua così non c’è bisogno di cambiare mura. La velocità è un però condizionata dai rami secondari della Corrente del Golfo. Con questa andatura, il brigantino perde circa due nodi di velocità e deriva verso ovest spinto dalla corrente che lo investe al traverso del lato sinistro. Il solcometro indica una velocità di appena quattro nodi. Anche cambiando mura la velocità non aumenta. Giornate soleggiate, qualche nuvola lontana verso Est e vento costante.

Atlantico Centrale – Golfo del Messico 5 agosto 1901

Dopo due giorni di navigazione, il vento comincia a girare verso Est. La pressione diminuisce. La depressione tropicale continua a spostarsi verso Ovest e non accenna a perdere potenza. Anzi, man mano che si avvicina alle Bahamas, incontrando acqua ancora più calda, aumenta la sua velocità rotatoria e di traslazione. I venti, ora, hanno una velocità di trenta nodi. È a circa 1800 Km da Cat Island dell’arcipelago delle Bahamas. A bordo della “Maria Maddalena”, oltre al leggero calo della pressione, non vengono notati altri segni che possano far pensare all’arrivo di una tempesta o, peggio, di un uragano. La nave, cercando di sfruttare al meglio il vento, continua ad avanzare lentamente. La sera del 5 agosto si trova a circa 120 miglia a ovest dal porto di Tampa in Florida. Alternando i bordi, continua la sua corsa verso sud. Garibaldi aveva pensato di cambiare il suo piano di viaggio passando fra lo Yucatan e Cuba, ma la Corrente del Golfo in risalita avrebbe rallentato ancora di più il brigantino. Decide, allora, di mantenere il piano originale. Questo gli avrebbe consentito di agganciare il ramo principale della corrente vicino alla costa cubana, facendosi spingere da questa verso Est visto che dell’annunciato uragano non sembrava esservi traccia.

Mar dei Sargassi – Golfo del Messico 9 agosto 1901

La depressione tropicale si è trasformata in una Tempesta Tropicale. I venti raggiungono i 35 nodi e si trova a circa 60 miglia da Cat Island. La sua velocità di spostamento verso Ovest è diminuita a circa 9 nodi. Sulla “Maria Maddalena”, il comandante, guarda preoccupato il barometro. La pressione continua a calare. Si vedono minacciose nubi all’orizzonte e, cosa più preoccupante, il veliero rolla eccessivamente per la presenza di un’onda lunga chiaro indicatore dell’approssimarsi di una tempesta che, a quelle latitudini, può essere solo una tempesta tropicale o un uragano. Ora si trova al traverso di Key West delle Florida Keys, punto più meridionale della Florida. Il centro della tempesta si trova a poco meno di 500 miglia e la sua influenza inizia a farsi sentire. Garibaldi non ha dubbi. Una tempesta sta per arrivare e ordina al suo equipaggio di prepararsi ad affrontarla. Il vento ora soffia con più forza e proviene da NE. Garibaldi cerca di individuare la posizione dell’occhio del ciclone. Deve ad ogni costo evitare di trovarsi sulla sua rotta. Rivolge la faccia al vento e applica le nozioni apprese a scuola, ma altre volte messe in pratica in condizioni simili. L’occhio del ciclone si trova a circa 10/12 quarte a dritta. Il risultato del calcolo concorda con la reale posizione del centro della tempesta. Davanti a una tempesta come quella, le Bahamas non possono offrire alcuna protezione al brigantino. L’unica possibilità per non incorrere in pericoli è quella di fuggire il più lontano possibile, verso Sud. Garibaldi, applicando sempre lo stesso metodo di individuazione del centro della tempesta, capisce di non essere sulla sua rotta e di trovarsi nel lato maneggevole. È notte fonda. Il mare è diventato molto agitato. Le onde prendono il brigantino sul lato sinistro facendolo sbandare notevolmente. È una condizione pericolosa. Il comandante aveva già ordinato una riduzione della velatura e ora via di gran lasco, vento in poppa con mura a dritta, secondo una consolidata tecnica marinaresca, stringendo il vento se questo gira a sinistra. Quando l’equipaggio sta per assumere la nuova andatura, un’onda enorme lo colpisce sul lato sopravento, il lato sinistro, aggravando notevolmente lo sbandamento a dritta già presente perché la nave naviga con mura a sinistra. Una grande quantità d’acqua si riversa sulla coperta della nave spazzandola per tutta la sua lunghezza. La schiuma copre gli uomini che si preparano alla manovra, la ruota del timone sfugge dalle mani del timoniere provocando un improvviso scuotimento alla nave. Qualcuno viene trascinato in mare, ma nessuno se ne avvede per la scarsa visibilità provocata dagli spruzzi. La nave non si raddrizza, continua a correre abbattuta su un lato con la frisata di dritta a filo d’acqua. Il timoniere, aiutato dal comandante, riesce a riprendere la ruota del timone, ma questo non ha alcun effetto sul bastimento, perché la pala del timone è quasi tutta fuori dall’acqua. Le vele toccano le creste frastagliate delle onde e quasi istantaneamente la nave pare fermarsi. La nave è ingavonata. Garibaldi urla di mettere in bando tutte le drizze e le scotte compresa quella del trinchetto per provare a spingere la prua sottovento e imprimere alla nave un movimento raddrizzante, ma non tutti sono in grado di eseguire gli ordini. Durante l’abbattuta alcuni tronchi si sono spostati a dritta incrinando le tavole del fasciame. L’acqua inizia ad invadere la stiva centrale. La nave non può più essere salvata. Le tre lance di salvataggio sono inutilizzabili. Con quel mare e quel vento la “Maria Maddalena” si capovolge e affonda rapidamente. Nessun si salva. Quanto è in acqua e galleggia viene portato via dalla forte corrente. Gli uomini che sono riusciti ad aggrapparsi a qualcosa ben presto sono sopraffatti dalla violenza dei marosi e affondano in quel mare lontano. Nessun sa di questa tragedia. La violenza dell’uragano che colpirà Mobile il 15 agosto dopo aver perso gran parte della sua forza, ha confuso i pochi rottami della “Maria Maddalena” con quelli delle isole colpite. Degli uomini non si trovò nessuna traccia perché i corpi inanimati sono ben presto divorati dagli squali. Il brigantino a palo non arrivò mai a Buenos Aires e solo dopo essere stato atteso per un lungo periodo si pervenne alla certezza della sua perdita proprio a causa dell’uragano che aveva colpito la rotta da lui seguita. Partirono le investigazioni che il Consolato Italiano a Buenos Aires chiese di avviare a Stati Uniti, Cuba, paesi caraibici e poi sudamericani e man mano che arrivavano risposte negative la perdita diventava sempre più certa.

Il 16 giugno 1902, l’anno seguente, il Cav. Antonio Carbone, in qualità di rappresentante di Giombattista Garibaldi, armatore del brigantino a palo “Maria Maddalena”, iscritto al n. 3460 delle matricole del Compartimento Marittimo di Genova, consegnò all’Autorità marittima una relazione nella quale denuncia la perdita della nave e del suo equipaggio. I parenti dei marinai del brigantino confermano di non aver più avuto notizia dei loro congiunti. Dai fogli matricolari degli uomini della “Maria Maddalena” risulta l’imbarco ma non lo sbarco. La relazione del Regio Console Italiano di Mobile conferma l’arrivo, la sosta e la partenza del brigantino e l’arrivo dell’uragano proprio nei giorni seguenti la partenza della nave.

In questi casi, ai sensi del Codice Civile e del Regolamento 20 novembre 1879 del Codice per la Marina Mercantile, il Capitano del Porto d’iscrizione della nave annota e comunica ai rispettivi Uffici di Stato Civile il decesso dei marinai per “scomparizione in mare”.

Fra i nomi di questo elenco si trova anche quello di un diciassettenne con tanti sogni e tante speranze dentro la sua sacca da marinaio, nato in un piccolo borgo di marinai della Sicilia, Pozzallo, morto e sepolto in un mare lontano dove la mamma che lo portò in grembo e lo partorì mai potrà portare un fiore, Angelo Emilio.

© Antonio Monaca

Foto da: http://www.agenziabozzo.it/antichi_velieri/ZZ_VELIERI/Dipinto_070_GENTILE_brigantino_a_palo.htm

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