Cutter

     Ha trent’anni quel cutter che il 3 dicembre 1937 si appresta a lasciare gli ormeggi della Valletta. È stato costruito a Torre del Greco dal cantiere Acampora ordinato da Giovanni Bottiglieri che gli ha dato il nome della madre, Lucia. È costruito in quercia, sfoderato di lunghezza 21,75 m, largo 5,34 con un puntale di 2,08 m. La sua capacità netta è di 36,34 tonnellate ed è dotato di buone capacità marine. Passa di mano ad un armatore di Giovinazzo fino a quando viene acquistata da Lorenzo Arena di Pozzallo.

     Lorenzo, modicano di origine, si è sposato a Pozzallo, il 16 aprile 1902, con Giuseppina Azzarelli. A gennaio nasce il primogenito della nuova famiglia, Antonino. Dopo tre anni, sempre a gennaio, nasce Salvatore che, purtroppo, muore a luglio e, nel 1908, a maggio, nasce Orazio. La famiglia continua a crescere e Pozzallo non offre grandi possibilità lavorative. A metà del 1913, Lorenzo, in accordo con la moglie, decide di emigrare negli Stati Uniti. Tanti pozzallesi sono emigrati e, con le rimesse che inviano alle mogli, riescono a far vivere le loro famiglie in modo più che dignitoso. Case risistemate, scarpe che non passano più da un fratello all’altro e così i vestiti e ora possono permettersi di comprare anche la carne, come i Giunta e i Pandolfi, le famiglie più facoltose della città. Il tempo di fare il passaporto e di procurarsi il biglietto e il 18 marzo 2014, con la S.S. San Guglielmo parte da Messina per New York. Terza classe, quella degli emigranti. Non è l’unico pozzallese su quella nave. Partono anche Nunzio Burrafato, Giovanni Palermo, Orazio Terranova, Antonino Parisi e Giovanni Calvo.

     All’arrivo, la Statua della Libertà, si staglia come un faro e sembra voler accogliere quegli uomini, quelle donne e quei bambini nel paese della speranza. Lorenzo sbarca dalla San Giacomo e, assieme agli altri, viene guidato verso gli spazi destinati al controllo dei documenti e alle visite sanitarie. All’immigrazione ha dichiarato di essere ospitato da un cugino, Giovanni Galata, che risiede a Brooklyn all’angolo fra la 13th Ave e la 61st al n. 6021. Lorenzo non fatica a trovare lavoro e comincia a guadagnare bene. Ogni quattro o cinque anni torna a casa ed è festa grande. La moglie non vuole raggiungerlo in America e lui le rimane fedele, diversamente da tanti altri connazionali che non perdono tempo a farsi una nuova famiglia, dimenticando mogli e prole rimasti in Italia. Con i dollari guadagnati con fatica vuole costruire un futuro solido per i suoi figli. Quando questi sono grandi iniziano a frequentare gli ambienti marinari pozzallesi. Libretto di navigazione come mozzi e si comincia a fare esperienza con qualche imbarco.

     Eccoci al 1935. Lorenzo ha messo da parte un bel gruzzolo e compra il cutter “Padre Eterno” da Sabino Bonserio. Con il cambio di proprietà non cambia il nome. Un nome importante, solenne quasi un motto. Il figlio Orazio è diventato, nel frattempo, Padrone Marittimo e assume il comando del cutter. Viaggiano senza sosta fra Malta e Pozzallo, fra Pozzallo e Licata, fra Pozzallo e Catania arrivando fino a Napoli. Nel 1937 Lorenzo Arena e figli vendono il Padre Eterno per continuare la loro avventura armatoriale con bastimenti di maggiore tonnellaggio. Ora il nuovo armatore e comandante è il Padrone Marittimo Giovanni Palumbo. Anche lui non cambia il nome alla nave.

     Arriviamo alla partenza da Malta con il quale inizia questa storia. Sembrerà strano ma già nei primi anni del Novecento si era capito che il riciclo dei materiali poteva rappresentare una fonte di reddito e nello stesso tempo una modalità di risparmio sul consumo delle materie prime. I rapporti commerciali fra Malta e l’Italia erano floridi e i bastimenti pozzallesi, per la loro posizione privilegiata, rappresentavano un importante vettore marittimo. Il “Padre Eterno” è stato noleggiato per trasportare un carico di rottami di vetro a Livorno. I rottami di vetro sono un carico da stivare con molta attenzione perché con il rollio tende a spostarsi facilmente muovendosi da un lato all’altro della nave quasi fosse acqua. Essendo un carico “leggero”, rapportato al volume, basta riempire la stiva fino all’orlo del boccaporto per stare tranquilli perché, in questo modo, non ha lo spazio per spostarsi. Le condizioni meteo alla partenza non sono delle migliori. Il bollettino meteorologico riporta una bassa pressione localizzata più o meno nel Tirreno Meridionale. Usciti da La Valletta il mare, nel Canale di Sicilia, è molto mosso con un vento da Nord sostenuto. Il Padre Eterno ha affrontato tempeste ben più importanti. Il capitano Palumbo ha tanta esperienza e può contare su un equipaggio ben addestrato. Primo bordo di bolina con mura a dritta. Si naviga con la cavalla, fiocco e randa terzarolata. Un po’ di beccheggio ostacola la navigazione ma si avanza senza grandi difficoltà. L’obiettivo di Palumbo è di avvicinarsi alla costa pozzallese per avere un po’ di riparo per poi, arrivato a metà percorso, cambiare bordo e puntare su Capo Passero, doppiarlo e proseguire verso nord. Al traverso dell’Isola delle Correnti il vento aumenta d’intensità. Palumbo da ordine di ammainare uno dei due fiocchi per diminuire il beccheggio e per non forzare troppo l’albero. I cutter hanno la caratteristica di riuscire a risalire il vento molto meglio di altre imbarcazioni e il “Padre Eterno” non si smentisce. Supera Capo Passero e continua, sempre di bolina, a navigare verso Nord Nord Est. Palumbo cerca di stringere maggiormente il vento chiedendo al timoniere di orzare continuamente. Non vuole allontanarsi troppo dalla costa, con quel mare. Quando vede, in linea con la poppa, a sinistra, l’Isola di Capo Passero, ordina di cambiare mura. “Lesti” urla Palumbo. Tutto l’equipaggio in manovra. “Cazza la randa. Orza”. Il boma, mollando il paranco di sinistra e rizzando quello di dritta, viene portato sull’asse longitudinale della nave e il timoniere orza decisamente. La prua va velocemente verso il vento e la randa prima si “sgonfia” e poi si riprende permettendo alla nave di tornare a correre.

     Il vento rinforza ancora. La prua, ora, punta verso terra. Verso Marzamemi. Il capitano valuta la possibilità di rifugiarsi nel piccolo porto di pescatori ma sarebbe troppo esposto. Meglio provare ad andare avanti. Se il tempo dovesse peggiorare ancora si potrebbe assecondare vento e mare e navigare in fil di ruota. Si naviga male. Il mare grosso rallenta la navigazione. Anche se il carico è perfettamente stivato, Palumbo cerca di evitare grandi rollate. Il beccheggio, poi, mette sotto sforzo tutta la struttura longitudinale della nave. Il “Padre Eterno” è in buone condizioni, ma è pur sempre una nave di trent’anni di età. Giunti in prossimità di Siracusa e considerato il perdurare delle cattive condizioni meteo, Palumbo decide di trovare riparo nel porto aretuseo ed aspettare il passaggio della perturbazione. È l’8 dicembre.

     Ancorata la nave, si procede con la verifica delle sue condizioni, si ripara qualche piccolo danno, si controlla la chiusura dei boccaporti, il carico e, in ultimo, la sentina per escludere ingressi d’acqua. Il tempo non migliora. Non solo vento, ma anche pioggia, a tratti intensa. C’è un vecchio detto pozzallese che recita: “pa stidda ra mmaculata, ogni varca assiri trata” e cioè “per il giorno dell’Immacolata ogni barca deve essere tirata in secco”. Siracusa, intanto, si prepara a festeggiare la sua patrona, Santa Lucia e il capitano Palumbo si ricorda di un altro detto pozzallese: “pa stidda ri Santa Lucia, ogni varca a ‘npuortu sia” e cioè “per il giorno di Santa Lucia ogni barca resti in porto”. Rassegnato a dover aspettare, Palumbo compila il giornale di bordo, si fa accompagnare a terra con la lancia di salvataggio per fare una passeggiata e per comprare qualcosa per la cambusa della nave. Passa la festa di Santa Lucia e, finalmente, il 15 il vento mostra i primi cedimenti. Forse l’indomani si potrà ripartire. Se in questa stagione la partenza è certa, la stessa cosa non può dirsi per l’arrivo. Il comandante, quando è andato a terra ha anche inviato un telegramma al destinatario livornese del carico annunciando il sicuro ritardo. All’alba del 16 dicembre, Palumbo, che aveva già avvisato il giorno prima l’equipaggio della probabile partenza, ha la conferma della sua intenzione. Il barometro mostra un leggero aumento della pressione segno che la perturbazione è già passata. La nave è praticamente pronta a partire. Per tutta la giornata del 15 si erano preparate le manovre e sigillati i boccaporti con tela cerata. Particolare attenzione e rivolta alla verifica dei freni del timone controllando l’ingrassatura delle carrucole. Bussola di rotta e relativa lampada in posizione davanti al timone. Vele pronte per essere dispiegate. Quanto in coperta perfettamente rizzato per affrontare con sicurezza eventuali e possibili condizioni di maltempo.

     Tutti in coperta. Pronti a partire. Si comincia a virare l’ancora fino a portarla a picco, cioè poco prima che si stacchi dal fondo mentre si provvede a metter su la contro randa e a preparare fiocco e contro fiocco. Vento ancora da Nord e la prua è orientata, ovviamente, nella sua direzione. Manovrando opportunamente il timone, il bastimento si abbatte a dritta e appena la contro randa inizia a gonfiarsi, si solleva completamente l’ancora liberando la nave per permetterle di seguire la poggiata allontanando, cioè, la prua dalla direzione del vento. L’Eterno Padre inizia a prendere abbrivio, accosta verso dritta per passare dalla bolina stretta al gran lasco, con il vento di poppa. Il cutter accelera piano piano avviandosi verso l’uscita del porto mentre viene dispiegata la randa. Al traverso a sinistra della punta di Ortigia si orza per prendere il vento al lasco e si libera il fiocco uscendo dalla baia in direzione Sud Est. Qualche miglio e si orza ancora, la prua inizia a ruotare verso Nord, si apre anche il contro fiocco. Si naviga con mura a sinistra, di bolina, in direzione Nord Est. Quando si è più o meno al traverso di Augusta il vento inizia a rinforzare. Si mette una mano di terzaroli alla randa e si recupera il fiocco. Palumbo si vede costretto ad allungare il bordo orzando fino ad andare di bolina larga verso Est Nord Est. Il barometro accenna a una lieve discesa. Si sta avvicinando un’altra perturbazione. Con difficoltà, fra un bordo e l’altro, il cutter si avvicina allo stretto di Messina. La Vigilia di Natale il mare grosso non permette di fare festa. Si cerca riparo davanti Reggio Calabria, ma poi si decide di passare lo stretto sperando di trovare condizioni migliori nel Tirreno. Il passaggio dello stretto richiede un giorno intero. Superata Torre Faro, sempre con vento da Nord si punta verso la Sardegna. Condizioni di mare proibitive. Un’altra tempesta più forte della precedente mette a rischio la spedizione. Palumbo punta su Milazzo trovando riparo nel piccolo porticciolo.

     L’equipaggio è stremato per gli sforzi, per l’impossibilità di riposare per il forte rollio e beccheggio e per il prolungato digiuno. In quelle condizioni è difficile mettere qualcosa nello stomaco e farcela rimanere. A queste condizioni fisiche si aggiunge il pensiero continuo di una possibile disgrazia. Quanti bastimenti sono scomparsi, non sono mai arrivati al porto di destinazione? Ogni rumore sospetto, ogni onda che sembra anomala, ogni groppo di vento sembrano il preludio di un tragico affondamento. Il capitano Palumbo, però, mantiene la calma, si mostra sicuro, dimostra di avere saldamente il controllo della nave. Quando il bravo marinaio non riesce ad evitare la tempesta deve saperla governare navigando sicuro anche “supra a scuma ro mari”, sopra la schiuma del mare.
Finalmente al riparo, dopo i controlli di routine, si scende a terra. Poggiati i piedi in banchina la sensazione è che tutto attorno oscilli. Gli organi che controllano l’equilibrio, dopo essere stati stressati da tutto quel movimento scomposto, hanno bisogno di stabilizzarsi. Chi guarda quegli uomini che barcollano come ubriachi capisce subito cosa è successo. Si fa rifornimento di frutta fresca, di verdure, di pesce. I pochi uomini che governano quei 46 metri di nave hanno voglia di festeggiare il nuovo anno e, considerato che non si può ripartire, Palumbo non si fa pregare nell’accontentarli. Il livornese aspetterà.

     Finalmente il 13 gennaio il tempo volge al bello. Il cielo terso è prova che l’alta pressione ha preso predomina. Il vento soffia da Sud Sud Ovest. È il vento ideale per andare a Nord. Si riparte con tutte le vele al vento per provare a recuperare un po’ di ritardo. Il cutter fila veloce. I cambi di bordo sono rapidi e senza perdita di velocità. In sette giorni si è quasi a Civitavecchia. Sono le 9,30 del 20 gennaio 1938. A dritta, a circa 10 miglia, Palumbo avvista Capo Linaro (Santa Marinella, la piccola cittadina laziale dove Madre Maria Crocifissa Curcio, di Ispica, il 3 luglio 1925 stabilisce la sede della sua congregazione religiosa). La navigazione prosegue tranquilla. Doppiato il capo, Civitavecchia si troverà a cinque miglia a proravia. Intorno alle 10, al traverso di Capo Linaro, Palumbo nota che proprio dalla direzione del vento, a Sud Ovest, pare si stia formando un’area temporalesca. “Riduciamo la velatura” ordina il comandante “meglio non farsi trovare impreparati”. Quella formazione nuvolosa sembra avvicinarsi e all’orizzonte il mare è increspato. In meno di due ore la situazione meteorologica cambia completamente. La tempesta che sembrava avvicinarsi da Sud Ovest insorge dalla parte opposta. A Nord Est si scatena una bufera. Si rabbuia tutto intorno. Saette vanno da un lato all’altro del cielo. Il vento è impetuoso. Il mare si è ingrossato con la stessa velocità. I marinai a bordo del cutter hanno l’impressione che dei demoni siano appesi all’alberatura scuotendola per spezzarla. Il vento passando fra le manovre delle vele provoca dei fischi fortissimi, quasi delle urla. Tutti hanno affrontato tempeste e bufere ma mai avevano assistito a un cambiamento meteo così rapido. Un groppo di vento strappa la cavalla e, quasi contemporaneamente, le onde sbattono violentemente contro la prua e le fiancate della nave. È un mare scomposto. Non si riesce ad apprezzarne la direzione. Inizia a invadere la coperta e la schiuma intorno ha ridotto la visibilità. Fortunatamente si era riusciti ad assicurare le vele. Si naviga con la sola randa e il fiocco. Palumbo, pur cosciente delle azioni da intraprendere, raduna tutto l’equipaggio a poppa, anche per metterlo al riparo dalla forza delle onde che spazzavano la coperta, e si consiglia sul da farsi. Sono tutti concordi sulla necessità di ridurre ancora la superficie velica della randa per diminuire lo stress sull’albero e avere, comunque, sufficiente capacità di manovra. Il marinaio Giuseppe Cappello e il mozzo Emanuele Cannata sono comandati ad effettuare l’operazione. Palumbo prende lui stesso il timone pronto a contrastare le ondate. Cappello sta passando la contro barosa, una manovra che aiuta a ridurre la randa. Il boma è saldamente tenuto dal relativo paranco. Arriva un forte maroso che scuote tutta la nave. È un attimo. Il boma si sposta quel tanto che basta per far perdere l’equilibrio, già precario, e la presa al giovane Cappello. Fra schiuma e spruzzi solo Emanuele si è accorto di quanto è successo. Il mare ha agguantato il marinaio trascinandolo fuori bordo. Solo un grido del mozzo, “uomo a mare, uomo a mare”. Un grido che a stento riusce a sovrastare i fischi del vento e il fragore delle onde. Giovanni Palumbo non perdere un istante. Tutto timone sottovento per provare a virare. “Gettate i salvagenti e tutte le cose che galleggiano” è il primo ordine e poi “ammaina il fiocco” per facilitare la virata. “Non vira, non vira” urla Palumbo. Il vento e il mare sono troppo forti e non è possibile fare la manovra in quel modo per tornare indietro. Palumbo, sempre reggendo saldamente il timone ordina “uomo sull’albero, ammaina la randa e su il fiocco”. Mentre l’uomo sull’albero terrà d’occhio Giuseppe Cappello che si affanna a restare a galla in quell’inferno di acqua scura, si prova a girare di poppa per tentare di raggiungerlo e recuperarlo. La manovra riesce ma il naufrago si allontana per il forte scarroccio della nave. Palumbo non sa cosa fare. Decide di provare a mettere in mare la lancia di salvataggio. L’operazione richiede tempo perché è stata bloccata sulla coperta del cutter per impedire che, in caso di tempesta, potesse essere danneggiata dal mare o, peggio, portata via. Eppure, l’equipaggio la libera celermente. Si prova a metterla in mare grazie ai paranchi, ma, l’eccessivo rollio, facendola sbattere fra la murata e il boccaporto, provoca la rottura della chiglia rendendola inutilizzabile. L’uomo sull’albero, intanto, avvisa di riuscire più a vedere il povero Cappello. Palumbo manovra cercando di rimanere vicino al punto in cui era stato visto il marinaio per l’ultima volta. Non è semplice. Non ci sono più riferimenti se non gli oggetti che sono stati gettati in mare che piano piano si spargono in un’area sempre più grande. Di Giuseppe Cappello nessuna traccia. Come in altre situazioni simili l’acqua fredda e il peso degli abiti hanno reso inutili i tentativi di resistenza del marinaio. Ha perso la presa con il salvagente che era riuscito a prendere, risucchiato da quel mare assassino.

     Sono le 16 del 20 gennaio 1938 con il tempo che peggiora ancora. Non ha più senso continuare le ricerche e non è più possibile andare avanti. L’unica cosa da fare è assecondare il mare. Si va in fil di ruota. Esclusa la possibilità di prendere il mare di prua mettendosi alla cappa per il rischio di danneggiare gli alberi, Palumbo, decide di dare la poppa al mare e farsi spingere da quei marosi violenti. Si va di nuovo verso Sud per circa tre ore. Alle 19 circa il vento accenna a diminuire e con lui anche il mare. Cambia anche la direzione di provenienza. Da Nord Est ora soffia da Nord Ovest. Non si può tornare indietro. Palumbo decide di puntare su Anzio. Alle 6 del 21 gennaio 1938, il “Padre Eterno” getta l’ancora nel piccolo porto al sicuro dal vento e dal mare.
Il marinaio Giuseppe Cappello era nato a Pozzallo in via Solferino il 9 marzo 1915 da Vincenzo Cappello e Margherita Cappello, era iscritto come marinaio al n. 11342 della Gente di Mare del Compartimento marittimo di Siracusa e all’età di quasi 23 anni, il 20 gennaio 1938, perse la vita nel Mar Tirreno Centrale.

©Antonio Monaca

Foto da https://www.narraremare.it/cutter/

 

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