CO – Identificativo ottico Regio Sommergibile Corallo – Classe Perla

È il 17 marzo 1937. La città di Torre del Greco è pavesata a festa. In piazza Santa Croce non è facile accedere tanta è la calca. Autorità fasciste, militari, civili e religiose affollano le prime file sgomitando per avvicinarsi quanto più possibile al palco. Divise tirate a lucido, medaglieri ben in vista. Le camice nere, con gli stivali lucidati a specchio, faticano a trattenere la folla che, nonostante la giornata fredda e ventosa, non rinunciano a quello che si annuncia come un evento storico. Tutte le finestre delle case che si affacciano sulla piazza hanno bandiere e vessilli inneggianti al duce e non può essere diversamente perché chi non “applaude” al regime viene “marchiato” e posto sotto osservazione dalla polizia politica. In ogni caso, è una giornata di festa. Piccoli balilla si arrampicano, fieri della loro divisa, sulle sporgenze del campanile attaccato alla facciata barocca della Basilica di Santa Croce. I Gonfaloni, le bandiere e gli striscioni non si contano e ogni gruppo cerca di distinguersi dagli altri.

Nessuna nave militare può iniziare la sua attività, in pace o in guerra, senza che le venga consegnata la Bandiera di Combattimento e, questa, non può essere consegnata se non viene benedetta e la benedizione deve essere solenne. È il cardinale Ascalesi, arcivescovo di Napoli, che recita la preghiera di benedizione conclusa con un ampio segno di croce e l’aspersione con l’acqua benedetta della Bandiera sorretta dal Prefetto di Napoli. Dopo l’aspersione, il cardinale, bacia la Bandiera e benedice la folla. Un alfiere, giovane ufficiale in servizio sul sommergibile, prende in consegna la Bandiera di Combattimento e, scortato da numerose barche a remi, la trasferisce a bordo del sommergibile e la consegna al Comandante.

«Attenti!» urla il Comandante dalla torretta e tutto l’equipaggio, 44 uomini, schierato da prua a poppa scatta all’unisono.

«Ufficiali, sottufficiali, graduati, truppa del Regio Sommergibile Corallo, la Bandiera di Combattimento, ora benedetta, sta per salire a picco di questa unità a noi affidata dalla Patria. Noi giuriamo di custodirla con devozione e di difenderla in ogni circostanza, fino all’estremo sacrificio nell’interesse supremo della Patria. Lo giuro!» La formula del solenne giuramento di fedeltà alla bandiera è urlata e sovrasta l’ululato del vento. Tutti, a una sola voce, ripetono e sottolineano, con la stessa intensità del loro comandante: «Lo giuro!»

La banda esegue l’inno nazionale monarchico e tutte le autorità e i militari scattano sull’attenti mentre la bandiera, lentamente, sale a picco dell’alberetto posto sulla torretta. Resterà inalberata fino al tramonto, quando, dopo l’ammaina bandiera, verrà riposta, con religiosa attenzione, nel cofanetto appositamente costruito e conservata nella cabina del comandante dalla quale uscirà solo durante i combattimenti o alla radiazione del battello.

10 giugno 1940

Una folla urlante ed esagitata si agita a piazza Venezia a Roma. Sembra la stessa folla che partecipò alla consegna della Bandiera di Combattimento al Sommergibile Corallo. Anche qui non c’è spazio nella piazza. Dal monumento a Vittorio Emanuele, il Milite Ignoto sembra guardare con preoccupazione a quella piazza normalmente tranquilla. Lui sa! Lui ha visto! Lui ha sofferto! Ha perso la vita per difendere i confini della Patria. O, almeno, così gli avevano detto. Venticinque anni fa dei militari e dei governanti opportunisti decisero che bisognava entrare in guerra contro Austria e Germania a fianco di francesi, inglesi e russi. Pensando a una rapida risoluzione del conflitto e con la promessa di annettersi, dopo la vittoria, il nord est della penisola in mano agli austriaci, il 24 maggio 1915, l’Italia entra in guerra rompendo il patto di neutralità. Ora, 10 giugno 1940, una folla tinteggiata di nero per la presenza delle “camice nere della rivoluzione e delle legioni”, si prepara a sostenere, urlante, un altro opportunista. Ancora una “bandiera al vento”. Un altro politico borioso, megalomane, arrivista ha fiutato “l’affare”. Il demone nazista sta devastando i paesi europei, invadendoli militarmente, uno dopo l’altro. Le forze armate tedesche sembrano come l’onda di un maremoto. Travolgono tutto. Non hanno pietà. Razziano beni materiali, opere d’arte ma, soprattutto, schiavizzano, deportano e uccidono uomini, donne e bambini. Un altro vigliacco arrivista, che non parteciperà mai in prima persona a nessun combattimento, spalleggiato da un “re in miniatura” incapace di opporsi all’uomo rasato con le mani sui fianchi che lo sovrasta con la sua imponenza fisica, decide di trascinare il paese in un’altra guerra. Ancora una volta nessuno attacca l’Italia. Ancora una volta non ci sono confini da difendere.  «Combattenti di terra, del mare, dell’aria…la dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia…» viene urlato dal balcone di Palazzo Venezia. Alla folle esaltazione dei romani si associò tutta l’Italia. In tutte le piazze italiane le trombe di Radio Marelli diffusero il messaggio di morte raccogliendo ovunque, su incitazione della milizia fascista, applausi irrefrenabili. Davvero l’Italia aveva così tanta voglia di mandare, ancora una volta, migliaia di ragazzi a morire?

Monfalcone.

I marinai in libera uscita del Regio Sommergibile Corallo ascoltano increduli il proclama del dittatore e non riescono ad esultare. Guerra significa combattimento e il combattimento in mare, su un sommergibile è rischioso. Il comandante aveva già ricevuto un messaggio dal comando con le istruzioni operative. Il battello è assegnato al VII° Gruppo Sommergibili, 72a Squadriglia, di base a Cagliari ma per alcuni lavori di manutenzione non può entrare in azione. Il Capitano di Corvetta Loris Albanese riceve un plico con le informazioni riservate sul nuovo assetto operativo del sommergibile. Alla fine di agosto, lavori ultimati. Il Corallo esce dal bacino di carenaggio e inizia il viaggio di trasferimento che lo riporterà alla sua base operativa. La sua destinazione, però, prevede una missione nel Mediterraneo orientale. Il 17 settembre, a circa 60 miglia a sud di Creta, nel tardo pomeriggio, il Corallo è in emersione, immobile, in agguato. Sembra un gatto sonnolento in attesa che un topo gli passi davanti. Il comandante è nella sua cuccetta intento a leggere i messaggi ricevuti da Supermarina. L’ufficiale di guardia con le vedette è in torretta intento a scrutare l’orizzonte con il suo binocolo. Il sole è già tramontato da circa quaranta minuti e nella fioca luce del crepuscolo gli sembra di vedere una sagoma. Le vedette puntano i loro binocoli nella stessa direzione e vedono una formazione in avvicinamento. «Immersione, immersione. Tutti ai posti di combattimento.» Il personale di vedetta rientra velocemente e mentre inizia l’immersione di portello viene chiuso. Il comandante Albanese, sentito l’allarme, si precipita in plancia e assume il comando. «Quota periscopica» ordina. Ora si sente il solo sibilo dei due motori elettrici CRDA. Le casse d’immersione si riempiono fino al raggiungimento della quota utile per usare il periscopio.

«Su il periscopio». Albanese guarda attraverso il mirino. Sono inglesi. Procedono a zig zag. Albanese individua subito con certezza una portaerei, Illustrious, una corazzata, Valiant, che procedono in linea di fila e cinque cacciatorpediniere ai lati delle due navi maggiori per proteggerle da possibili attacchi sottomarini. Il convoglio viene dalle coste libiche e, dopo un’azione di bombardamento di Bengasi e Derna, rientra alla sua base di Alessandria d’Egitto. Le vedette nemiche non hanno individuato il Corallo e Albanese ne approfitta per superare la scorta e per portarsi a circa 1500 m dalla portaerei. Il periscopio fa su e giù. Una rapida occhiata, rilevamento del bersaglio, distanza, un rapido calcolo cinematico ed ecco l’ordine di prepararsi al lancio. «Tubi uno e due pronti!» Ancora un rapido controllo dei dati, una sbirciata alla posizione dei caccia e «giù il periscopio». «Uno e due, fuori!». I portelli erano già aperti. I siluri armati. Dall’ordine del comandante, solo un paio di secondi e i due siluri sono in accelerazione nei due tubi di lancio. Uno dei due caccia era particolarmente vicino e dopo il lancio avrebbe sicuramente avvistato la scia potendo speronare il Corallo. «Tutta barra a dritta. Scendiamo a 80 metri.» Sono trascorsi 75 secondi dal lancio e gli idrofoni rilevano due esplosioni che non sembrano essere bombe di profondità. Albanese ed il suo equipaggio sono convinti di aver colpito la portaerei. I caccia, intanto, cominciano il lancio continuo di bombe di profondità. Dura quasi tre ore questo bombardamento. Il Corallo mette in atto tutte le manovre di evasione possibili per tentare di sfuggire alle forti onde di pressione generate dalle esplosioni. Alla fine gli inglesi si allontanano convinti di aver colpito il sommergibile o, quantomeno, di averlo dissuaso dal tentare un nuovo attacco. La portaerei e la corazzata, nel frattempo, avevano messo parecchie miglia fra loro ed il Corallo. Albanese ordina l’assetto silenzioso per eludere l’ascolto dei caccia. Il travaso dell’acqua delle casse di assetto e di compenso viene fatto utilizzando aria compressa e questo fa aumentare la pressione interna del sommergibile. Piano piano, fra un’accostata e l’altra, il sommergibile va verso la superficie. Raggiunta quota periscopica il comandante si accerta che non ci siano navi nemiche in zona e, finalmente, si riemerge. L’ufficiale in 2a Tenente di Vascello Alfredo Gatti risale la scaletta, comincia ad aprire il portello della torretta ma lo fa troppo velocemente senza dar tempo alla sovrappressione interna di sfogarsi. Il portello si apre improvvisamente e Gatti viene letteralmente sparato fuori dal sommergibile. Malgrado le ricerche non fu più ritrovato. Un altro lutto afflisse quel giorno l’equipaggio del Corallo. Le continue perdite di assetto durante il bombardamento dei caccia, nel locale di lancio poppiero, hanno fatto perdere l’equilibrio al Capo Silurista Angelo Bianchi sbalzandolo contro le murate del sommergibile. Fu ritrovato morto sotto uno dei siluri. I danni subiti dal battello non possono essere riparati a bordo e il 18 settembre si arriva finalmente a Tobruk.

Un sommergibile sfortunato il Corallo. I siluri lanciati contro la portaerei inglese erano andati a vuoto e le esplosioni avvertite dovevano essere state confuse con quelle delle bombe di profondità. La Illustrious arriva indenne ad Alessandria d’Egitto e con lei tutta la squadra senza aver subito alcun danno. Il Corallo continuerà a svolgere missioni nel Mediterraneo senza raccogliere successi importanti. A colpi di cannone affonderà qualche motoveliero e per il resto effettuerà missioni senza avvistamenti o interrotte per avarie o cattive condizioni meteorologiche.

Gennaio 1942. Tratto di mare fra Malta e Capo Passero. Il Corallo è in agguato. Nessuna nave viene avvistata. Il comandante T.V. Andreani, che a marzo del ’41 ha rilevato Albanese, cerca d’intercettare qualche nave inglese diretta a Malta ma non ha fortuna. Lo stesso nella missione di marzo che si svolge sempre intorno alle acque maltesi.

Durante queste missioni, un marinaio si strugge al ricordo di casa che sa essere vicina. Quelle acque gli sono familiari. Manca da casa dagli inizi della guerra. Ha appena ventidue anni. Chissà cosa fanno i suoi fratelli, cosa fa la mamma e il papà mentre lui è chiuso in questa scatola di acciaio. Gennaio è un mese freddo a Pozzallo ma via Napoli, estate e inverno, è uno spazio di giochi per i ragazzini, di sguardi furtivi per gli adolescenti, di incontri amorosi distanziati e poi di litigi e di socialità fra gli adulti. Ventidue anni e in guerra contro un nemico che è tale perché altri lo hanno deciso. Questa caccia gli sembra insensata. Questa attesa in agguato, aspettando che passi qualche nave militare o mercantile, gli sembra senza senso. Da quando è iniziata la missione non è mai uscito fuori, in torretta. È un comune, un marinaio semplice. I suoi compiti sono stabiliti dai superiori in funzione delle necessità durante la navigazione normale mentre durante le azioni ha un suo posto di combattimento nella camera di lancio di poppa. Giovanni si chiama. Giovanni La Pira figlio di Pietro e Teresa Barrera. La cuccetta che occupa la divide con un altro marinaio. Cuccetta calda la chiamano i sommergibilisti. A causa degli spazi ridotti, i comuni, i graduati di truppa e i sottufficiali, dividono la branda con un collega e, in navigazione, il riposo è cadenzato dai turni di guardia. Quando uno è di guardia  l’altro riposa e così a rotazione fino alla fine della missione. Nella branda, posta sopra un siluro, a prua, Giovanni spesso non riesce a dormire e non per il mal di mare. Dopo un po’ i movimenti del sommergibile, quando naviga in superficie, non danno più fastidio ma i pensieri non si fermano. I pensieri non seguono le onde e spesso agitano lo spirito. Giovanni sa di dover obbedire agli ordini, sa di aver prestato giuramento di fedeltà al Re e di dover difendere la Patria ma avrebbe preferito farlo su una nave, guardando, si fa per dire, il nemico in faccia. Qui, invece, solo gli ufficiali hanno piena conoscenza di quello che succede. Le missioni si succedono una dopo l’altra sempre con scarsi risultati e forse è meglio così. Si adempie al proprio dovere e non si corrono rischi.

A giugno altro cambio di comando. Il T.V. Andreani è rilevato dal T.V. Guido Guidi.

A dicembre, intanto, un altro sommergibile si prepara ad effettuare una missione speciale in acque algerine: il Regio Sommergibile Ambra al comando del C.C. Mario Arillo. Operazione NA 1: trasportare il più vicino possibile al porto di Algeri tre siluri a lenta corsa e attaccare le navi nemiche in porto con l’obiettivo di provocare quanti più danni possibili. Il 4 dicembre l’Ambra, nelle prime ore del pomeriggio, lascia il porto di La Spezia con a bordo, oltre al normale equipaggio, sei uomini per la manovra dei tre SLC (siluri a lenta corsa), dieci nuotatori d’assalto provenienti dalle diverse specialità di Marina ed Esercito e due uomini civetta di riserva. Quando l’Ambra arriva davanti alle coste algerine, il mare è molto mosso e non è possibile avvicinarsi al porto. Per tre giorni l’Ambra resta in attesa di un’attenuazione del moto ondoso e l’equipaggio, con i suoi passeggeri speciali, comincia a risentirne con il rischio di compromettere la missione e di dover rinunciare. Finalmente all’alba dell’undici dicembre si può provare a mettere in atto il piano lungamente studiato. Dopo la partenza da La Spezia l’ecoscandaglio era andato in avaria e l’avvicinamento alla profondità di 90 metri promette di essere rischiosa e, infatti, un violentissimo urto arresta la corsa del battello. I motori elettrici vengono fermati immediatamente e i locali vengono attentamente ispezionati per individuare possibili danni. Lo scafo ha resistito all’impatto contro il fondo. Non c’è nessuna infiltrazione considerata che la profondità massima di collaudo per questo sommergibile è di 80 metri. Arillo decide di proseguire. Passano altre due ore e mezza. A lento moto il sommergibile prosegue nell’avvicinamento all’imboccatura del porto. Gli operatori idrofonici sono concentratissimi nell’individuare ogni rumore, ogni eco che può far pensare ad un ostacolo in avvicinamento o a qualche pattugliatore o, peggio, a campi minati. A bordo regna un silenzio impressionante. Nessuno fiata. Durante l’avvicinamento, Arillo, ha ordinato una lenta diminuzione della quota di navigazione. Sono le 19:40 quando il comandante ordina di fermare le macchine. Il profondimetro segna 18 metri. I due uomini-civetta indossano le mute, entrano nella garitta di fuoriuscita e, agganciati ad un cavo, escono dal sommergibile raggiungendo la superficie. Non vedono nulla. Nemmeno la costa è visibile. Il sommergibile è ancora troppo lontano. Non è possibile navigare in superficie e nemmeno si può usare il periscopio. È a questo punto che Arillo pensa ad una soluzione finora mai adottata. Lascia in superficie il T.V. Jacobacci che con l’aiuto di un telefono magnetofonico guiderà il sommergibile come fosse un periscopio umano. Altre due ore di lenta navigazione condizionata e guidata da Jacobacci e il sommergibile si trova all’interno della Baia di Algeri. Alle 22, Jacobacci, ha portato il sommergibile al centro dell’area di ancoraggio di sei piroscafi. Gli uomini gamma e gli assaltatori con i loro SLC lasciarono il sommergibile alle 23 iniziando la loro missione. Due SLC andarono in avaria e uno dei sommozzatori fu individuato mettendo in allarme il porto. Nonostante tutto gli altri riuscirono ad affondare ventimila tonnellate di naviglio nemico ma furono tutti catturati. L’Ambra, sempre adagiato sul fondo, alle 3 del 12 dicembre, dopo aver recuperato il T.V. Jacobacci, riuscì ad uscire dalla baia facendo rotta per La Spezia.

A bordo del Corallo, in sosta a Cagliari, nessuno era a conoscenza di questi eventi. Si era in attesa di ordini e tutti speravano in una missione breve. In tempo di guerra passare il Natale in attività operative non è piacevole. Si sa, chi è lontano da casa, nelle ricorrenze speciali come il Natale, è assalito dalla malinconia e se si è in guerra a questa si associa la tristezza ed il timore di non poter più rivedere i propri cari. Giovanni ripensa ai preparativi che hanno inizio con la Festa dell’Immacolata. Il Natale, specialmente in una famiglia numerosa come la sua, ha sempre rappresentato un giorno di felicità. Era l’occasione per comprare il vestito nuovo o per riadattare quello del fratello maggiore, di comprare le scarpe nuove, di farsi notare dalle ragazze del vicinato e poi dolci e cibi che durante l’anno vedevi solo a Natale e a Pasqua. Le sere prenatalizie si giocava a tombola e i più grandi a carte, una passione quasi ereditaria nella famiglia La Pira. Momenti di serenità assoluta dove ogni preoccupazione lasciava campo libero alla contentezza. C’erano, poi, due detti pozzallesi: “pa stidda ra ‘Mmaculata ogni varca a siri trata” e “pa stidda ri Santa Lucia ogni varca a ‘mpuortu sia”. I pescatori di sardine e i marinai dei bastimenti avevano particolare attenzione a queste due feste perché, nella loro esperienza, in occasione della festa dell’Immacolata e di Santa Lucia si scatenavano le peggiori tempeste. Giovanni e sicuramente gran parte dell’equipaggio speravano in una qualche avaria che impedisse qualunque missione. La festa dell’Immacolata è passata. La sera di mercoledì 9 dicembre Giovanni potrebbe andare in franchigia con altri commilitoni ma Cagliari non offre grandi svaghi. La milizia e le pattuglie di ronda rendono le poche ore di franchigia concesse una ulteriore limitazione di libertà. Unica concessione sono i bordelli. Già, in questo i fascisti sono molto permissivi e tolleranti. Giovanni resta a bordo a torturarsi con la nostalgia di casa. Quella stessa sera il comandante Guidi riceve la nuova tabella ordini. Partenza il 10 dicembre per una missione di agguato davanti alla costa tunisina fra Bona e Biserta. Un altro appostamento che, quasi certamente non porterà ad alcun risultato. Quasi scuramente si passerà Natale da qualche parte nel Mediterraneo con il solito rancio e senza il conforto della vicinanza dei propri cari. Maledetta guerra. Maledetti quelli che l’anno dichiarata, alla quale non partecipano e che passeranno le feste a brindare e ad abbuffarsi nelle loro lussuose residenze. Passi per le limitazioni imposte dalla povertà ma se a queste aggiungi la guerra tutto diventa insensato.

Il tempo di fare provviste “particolari”, finto caffè, qualche chilo di carne in più, qualche litro di vino in più e si parte. Giovanni lancia un ultimo sguardo alla terra ferma mentre scapola il cavo di prua e rassegnato si avvia alla torretta per portarsi al suo posto di manovra. «Coperta libera. Tutti i cavi a terra» urla l’ufficiale in seconda. Il comandante fa segno ai rimorchiatori di essere pronto e la manovra di disimpegno dalla banchina ha il suo inizio. «Avanti adagio» ordina Guidi ed il comando viene passato in sala macchine con il telegrafo di macchina della torretta. «Quindici gradi a dritta» e la comunicazione viene passata al timoniere che immediatamente la riporta. «Molla rimorchio» urla ai marinai a prua. «Molla a poppa». «Vai per 222» è l’ordine per il timoniere. Lentamente, come tante altre volte, il Regio Sommergibile Corallo lascia il porto di Cagliari. È il 10 dicembre. Superate le ostruzioni e le protezioni del porto Guidi dà la nuova rotta. «160» «Uno-Sei-Zero» riporta il timoniere. Qualche minuto e dopo un controllo della linea dell’orizzonte Guidi urla un nuovo comando «alla via così» prontamente ripetuto dall’ufficiale di guardia che si appresta a iniziare il suo turno. «Sig. Berra il comando è suo». Guidi lascia il comando del battello al S.T.V. Berra assistito dall’Asp. Guardiamarina Pirazzini e scivola lungo la scaletta. In torretta restano anche due vedette.

Navigando in superficie il Corallo ha una velocità massima di 14 nodi. Alla velocità di crociera di 12 nodi in circa 9 ore si è già nella zona operativa assegnata. La navigazione procede tranquilla. Nessun avvistamento di navi o aerei nemici. A bordo l’equipaggio è tranquillo. Il Corallo non si è quasi mai impegnato in azioni pericolose. Anche stavolta si tornerà alla base senza aver fatto “brutti incontri”. Guidi, però, non è della stessa opinione. Smania di affrontare il nemico, di affondare naviglio nemico perché, alla fine, questo è il compito di un sommergibile in missione di guerra e del suo equipaggio.

L’undici dicembre il comando di squadriglia comunica l’ordine di Supermarina di penetrare nella rada di Bougie in Algeria. Supermarina vuole approfittare del risultato della missione dell’Ambra e pensa che le forze alleate siano occupate a difendere il porto di Algeri allentando il pattugliamento di porti più piccoli e meno strategici. Giunto quasi a metà strada, il Corallo accosta sulla nuova rotta e dirige per Bougie dove la notte del 13 dovrà svolgere la sua missione.

Nella notte fra il 12 e 13 dicembre il Corallo si trova in prossimità della rada di Bougie. Le vedette hanno avvistato qualcosa. Guidi, avvisato, sale in torretta e punta il binocolo in direzione del traverso di dritta del Corallo. È un convoglio, il KMS 4, partito dalla Gran Bretagna e che, dopo una sosta a Gibilterra, è diretto ad Alessandria d’Egitto. Guidi non ha notizie di convogli amici e presto ha la conferma quando scorge le sagome dei caccia di scorta al convoglio. Uno di questi si è staccato dal convoglio e punta la prua sul Corallo. «Immersione! Immersione!» Guidi vuole provare ad attaccare il convoglio sperando di riuscire ad affondare qualcuna di quelle navi. Non sa di essere stato avvistato dai caccia britannici molto prima di quanto il Corallo abbia avvistato il convoglio. Uno dei caccia è l’HMS Enchantress. Lo scorso gennaio su questa unità è stato installato un sistema radio elettronico per la scoperta di navi in superficie: il radar. Gli inglesi, ancora poco esperti nell’uso di questo nuovo strumento, hanno aspettato l’avvistamento ottico per essere certi della presenza di un bersaglio non identificato. Non è stato difficile visto che conoscevano esattamente la posizione del sommergibile.

«Scendiamo a 40 metri. Assetto silenzioso. Tutti ai posti di combattimento» ordina Guidi. Pochi minuti e si comincia a sentire le prime esplosioni. Gli inglesi si sono schierati a ventaglio e hanno iniziato un fitto lancio di bombe di profondità. «80 metri» ordina Guidi «barra tutta a dritta. Andiamogli incontro.» I lanci vanno tutti a vuoto. In immersione il sommergibile non è facilmente identificabile se è silenzioso perché i pochi rumori provocati dalle pompe ad aria compressa e dai motori elettrici sono coperti dal fragore delle esplosioni. Le ondate di pressione, però, hanno fatto qualche danno. «Torniamo lentamente a 40 metri. Se sentite qualche elica in avvicinamento avvisate» dice Guidi agli operatori idrofonici. «Turbine in allontanamento, Comandante. No, no comandante si avvicinano» e contemporaneamente iniziano le esplosioni delle bombe di profondità ma questa volta sono più vicine. La tensione a bordo è palpabile. Qualcuno prega, qualcun altro guarda nel vuoto e qualcun altro ancora cerca di distrarsi concentrandosi maggiormente sui suoi compiti. Ora le esplosioni sono ancora più vicine. Guidi ordina di procedere a zig zag mantenendo la quota di 40 metri. I caccia sono quasi sopra il sommergibile, lo sorpassano ma continuano il lancio di bombe di profondità. Dalla sala macchine il direttore comunica un ingresso contenuto di acqua dal pressatrecce dell’elica di sinistra. Una bomba esplode più vicina, il Corallo perde l’assetto e per un attimo resta al buio. Assetto ripristinato, si fa la conta dei danni. Ci sono troppe infiltrazioni di acqua e nel locale batterie qualche elemento è stato danneggiato. La situazione si fa preoccupante. Guidi decide di emergere. È esclusa la resa. Ha intenzione di dare battaglia e, al limite, abbandonare il battello dopo averlo autoaffondato. Appena emerso ordina agli uomini di armare il cannone davanti alla torretta. L’HMS Enchantress punta sul sommergibile. Lo raggiunge prima che i cannonieri potessero mettere il colpo in canna. Lo sperona. Il Corallo viene colpito nella parte centro poppiera. Un’ampia via d’acqua si apre sul fianco del battello che subito s’inclina ed inizia ad affondare. Dalla torrenta un fiume di acqua inonda la parte centrale dello scafo, lo allaga e l’ulteriore peso azzera completamente la riserva di stabilità. Gli uomini in coperta vengono sbalzati in mare e trascinati dal risucchio generatesi dall’affondamento e così avviene per il comandante Guidi e per l’ufficiale che lo assisteva in torretta. La prua si solleva sull’acqua trascinata dalla poppa sul fondo del mare. Gli uomini che si trovano nel cuore della nave, sotto la torretta sono i primi a morire. Alcuni annegano mentre altri muoiono per asfissia a causa dei gas che si sono sprigionati dalle batterie appena sono entrati in contatto con l’acqua di mare. Giovanni La Pira è al suo posto di combattimento. Camera di lancio poppiera. Lui e i suoi compagni hanno avuto la prontezza di chiudere subito la porta stagna che li separa dagli altri locali. Hanno aria ma lo scafo resisterà alla pressione man mano che il sommergibile affonda. La classe Perla è collaudata per resistere fino ad una profondità di 80 metri ma fino a 100 lo scafo è ancora in grado di resistere. E la porta stagna resisterà? Gli uomini sopravvissuti a poppa e quelli che erano a prua non hanno scampo. Il sommergibile sembra un siluro tanta è la velocità con la quale raggiunge il fondo. La poppa è la prima a toccare la sabbia che attenua leggermente lo schianto ma non abbastanza da lasciare integro il fasciame. Il Corallo, appena toccato il fondo, si spezza proprio all’altezza dell’urto con il caccia e tutti i compartimenti vengono allagati. Il Corallo è diventato una grande bara di acciaio per il suo equipaggio. Quarantaquattro uomini, molti dei quali poco più che ragazzi, non celebreranno il Natale quest’anno. Giovanni La Pira non assaggerà più “i ‘mpanati co ciuriettu e a sausizza”, non indosserà più il vestito buono che è rimasto nell’armadio di casa sua, non giocherà più a zichinetta con i suoi fratelli, non abbraccerà più la mamma Teresa e il papà Pietro, non incontrerà più gli amici di via Napoli. Fino al 23 dicembre la base operativa cerca di mettersi in contatto con il Regio Sommergibile Corallo. Nessuna risposta. La famiglia La Pira il 25 dicembre 1942 è riunita per far festa. Manca Giovanni ma nessuno immagina che la sua assenza è fisica ma non spirituale. Giovanni è in mezzo a loro. È dispiaciuto perché non riesce a farsi sentire dalla mamma e sa di non poterla consolare quando la notizia della sua tragica morte le sarà comunicata. È dispiaciuto ma, alla fine, è con la sua famiglia.

Alla fine della guerra sono 3021 i marinai sommergibilisti morti eroicamente per una causa sbagliata.

©Antonio Monaca

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