Ex voto - https://www.beweb.chiesacattolica.it/benistorici/bene/6082741/Gavarrone+D.+%281860%29%2C+Ex+voto+con+il+brigantino+La+Vergine

Un altro brigantino-goletta, un altro equipaggio pozzallese, un altro viaggio funestato dal lutto. Luigi B., dove “B” sta per Barrera. Armatore Giuseppe Barrera. L’ILVA di Bagnoli sta consolidando le sue attività siderurgiche e l’area industriale, sotto l’impulso guerrafondaio del governo fascista, ha bisogno di materiali da costruzione per la sua espansione. La “Luigi B”, ha un nolo per il trasporto di un carico di ghiaiella, “u braccialinu”, da Porto Torres. La merce era stata messa “sotto-paranco” (sottobordo) dal caricatore per accelerare la caricazione e i bighi di carico avevano lavorato intensamente nei due giorni precedenti la partenza. Un equipaggio esperto, quello del “Luigi B”. Il suo comandante già a 24 anni era Padrone Marittimo, il nostromo, sessant’anni d’età, aveva passato gran parte della sua vita sul mare tranne una piccola parentesi che lo vide emigrato in America da dove fu costretto a rientrare per una tragedia familiare e gli altri, tutti marinai di provata esperienza. L’equipaggio aveva già mostrato un notevole affiatamento durante i viaggi precedenti e non poteva essere altrimenti per l’amicizia e, per alcuni, i rapporti di parentela che li legava. Avevano caricato 110 tonnellate di ghiaiella, stivata alla rinfusa, perfettamente distribuita grazie ai calcoli precisi del comandante, conferendo alla nave l’assetto ideale per la breve traversata. La mattina del 28 marzo 1935 la nave è pronta a partire. Ormeggiata vicino alla Torre Aragonese, la Luigi B, salpa allontanandosi dalla banchina al traino delle sue due lance. Il vento soffia dal II/III quadrante. Uscendo dal porto si rizzano le lance e si spiegano le vele. Mura a sinistra e il brigantino goletta inizia la sua corsa. All’alba del 29 marzo, con vento da Ovest, di gran lasco, si passa al traverso delle Bocche di Bonifacio e, giunti all’isola Razzoli, dell’arcipelago di La Maddalena, si fa rotta su Ponza. Con mure a dritta e andatura di lasco, la Luigi B, fila alla velocità di sei/sette nodi. Sono le 6 del 30 marzo, a circa 70 miglia da Ponza, il vento ruota improvvisamente a NNE. Un temporale investe la nave ed il comandante ordina immediatamente di serrare tutte le vele lasciando solo quelle di fortuna, la trinchettina e la randa di cappa, mettendo il bastimento al filo al mare. In poche ore il temporale diventa una tempesta. Vento e mare si fanno sempre più minacciosi. Il basso bordo libero della nave la rende molto esposta ai marosi. Il comandante, al cassero di poppa, vicino al timone, raduna i suoi uomini e assieme decidono di gettare in mare parte del carico allo scopo di alleggerire la nave. Tutti, tranne l’uomo al timone, si dirigono ai boccaporti della stiva di prua e di poppa e iniziano a gettare il pietrisco in mare. Il mare aumenta ancora d’intensità e i cavalloni irrompono sul ponte della nave. L’acqua del mare, attraverso i boccaporti aperti, fluisce nelle stive che vengono rinchiuse immediatamente per evitare il rischio di affondamento. Ore 13. Il cielo è carico di pioggia ed è un continuo rincorrersi di scariche elettriche e tuoni sopra il bastimento. Tutto l’equipaggio è radunato a poppa. Il bastimento corre al filo al mare. Posizione stimata 40°15’ N 011°24’E. Un cavallone più grande degli altri irrompe sulla coperta da poppa. La schiuma ricopre la nave sommergendola completamente. Quanto è in coperta viene spazzato via in un attimo. La forza del maroso rompe in più punti le murate lasciando l’equipaggio con pochi appigli per sostenersi. Il peso dell’enorme quantità d’acqua rovesciatesi sulla coperta del bastimento gli fece perdere, per un attimo, il controllo. La riserva di galleggiamento e la sua robusta costruzione permette al “Luigi B” di riprendersi, di ritornare in rotta, di riemergere dal mare che sembrava averlo inghiottito. Si fa subito l’appello, ci si chiama l’un l’altro. Due voci non rispondono. Giovà, Raffiè, Giovà, Raffiè…Solo il rombo dei tuoni ed il fragore dei marosi riempie il silenzio che avanza nelle menti dei cinque uomini rimasti. Fu subito chiaro a tutti cos’è successo. Tutti si misero a scrutare il mare nella fugace speranza di vedere una mano, una testa, un segno di vita. Niente. Solo schiuma, solo creste d’onda scompigliate dal vento. Non è possibile arrestare il bastimento che viene sballottato e sospinto dal vento e dalle onde. Il comandante prova a manovrare per tentare di tornare indietro ma ogni tentativo è inutile. Si può solo assecondare quel mare, quelle onde che pare vogliano inghiottire tutta la nave ed il suo equipaggio. Rassegnati ma scossi per la perdita si passa subito a verificare i danni subiti e, soprattutto, a controllare che non ci siano falle nello scafo. Si mette subito mano alle pompe e con enorme sollievo la sentina si prosciuga velocemente segno che lo scafo è integro. Tutto il giorno e la notte si lotta contro mare e vento. Uomini completamente bagnati, infreddoliti, affamati. Un giorno intero senza dormire, senza mangiare, con la difficoltà a reggersi in piedi, con le mani callose piagate per l’abrasione provocata dalle cime. Rizza, molla, lasca continuamente le manovre per regolare le poche vele al vento e tentare di governare quel mare ostile. All’alba del 30 marzo, finalmente, il mare comincia a calmarsi ed il vento a diminuire d’intensità. Si cerca di accostare a babordo e alle 13 si avvista l’isola di Marettimo delle Egadi. Il vento continua a diminuire, ci si avvicina sotto scosta e, finalmente, il 1° aprile, con vento da NW si entra a Porto Empedocle. A bordo mancano Giovanni Colombo e Raffaele Di Raimondo Metallo. A terra mancheranno padri e mariti.

Comandante Calogero Castaldo fu Antonio

Nostromo Giovanni Colombo fu Salvatore (scomparso in mare)

Marinaio Pietro Barrera di Francesco

Marinaio Carmelo Borrometi di Nunzio

Marinaio Raffaele Di Raimondo Metallo di Pietro (scomparso in mare)

Marinaio Antonio Giordanella di Michele

Marinaio Calogero Susino di Salvatore

©Antonio Monaca

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