3 gennaio 1920 – Porto di Napoli
La S/S Duca d’Aosta si appresta a levare gli ormeggi. La società Navigazione Generale Italiana dal 1914 al 1921 utilizzò questa nave sulla linea Genova – New York. Poteva trasportare 80 passeggeri in prima classe, 16 in seconda e millesettecentoquaranta in terza classe. La terza classe era “…dolore e spavento e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto” come la descrive De Gregori nella sua Titanic. Era la classe dei poveri, spesso dei disperati, di chi sperava di trovare in America la fortuna che l’Italia non era riuscita a dare. Un pozzallese, uno dei tanti, era già stato in America e lì aveva lasciato la moglie, Antonia Salonia. Era rientrato a Pozzallo per sistemare alcuni affari di famiglia e con la Duca d’Aosta ritornava a casa. Dopo il matrimonio, nel 1910, era partito con la moglie, il fratello e la cognata. A new York abitava al n. 151 di Union Street, la strada dei pozzallesi. Aveva trovato un lavoro dignitoso che gli permetteva di guadagnare il necessario e, con qualche sforzo in più, metteva soldi da parte per poter, un giorno, mettersi in proprio. Cosa può fare un pozzallese senza scuola, senza un mestiere, senza particolari abilità in una terra, in una metropoli che richiamava disperati da ogni parte del globo illudendoli con l’ormai famoso sogno americano? Il “camallo” può fare, lo scaricatore di porto, il “longshoreman”, come lo chiamano gli americani con il loro inglese cantalenante. Partita il 3 gennaio, forte delle sue caldaie che le permettevano di viaggiare a 16 nodi (circa 30 Km/h), la Duca d’Aosta arrivò a New York il 25. Il pozzallese Giovanni Colombo figlio di Ignazio, sarto, e di Emmanuela Vindigni, donna di casa, si ricongiunse con la moglie ed il fratello. Trasferì la residenza in una nuova casa, al 121 di President Street, parallela della Union Street per avere più spazio e più intimità. Riprese il suo lavoro al porto e, per guadagnare di più, accettò di fare i turni di notte. La mattina del 13 marzo, alle 3, al porto di Staten Island, Contea di Richmond, New York, Giovanni si trovava su un bastimento a vela, sul bordo di uno dei boccaporti della nave impegnato a controllare il lavoro dei bighi di carico. Certo l’illuminazione non era quella di cui dispongono i porti moderni, i turni di riposo non erano codificati come oggi, le norme antiinfortunistiche non erano così stringenti e vincolanti per le ditte che si occupano di scaricazione delle navi, fatto sta che Giovanni si sporse un po’ più del dovuto per meglio guardare il fondo della stiva, perse l’equilibrio, cadde. Il suo corpo di fermò su una cassa 10 metri più in basso. Fu immediatamente soccorso ma non c’era più nulla da fare. Trasportato all’Ospedale di Staten Island, i sanitari ne constatarono il decesso dovuto a frattura della terza vertebra cervicale con conseguente emorragia per rottura della carotide. Fu sepolto nel cimitero di Linden Hill.
©Antonio Monaca
(Foto Duca d’Aosta dal sito dell’Agenzia Bozzo di Camogli)